19 dicembre 2011

Ricapitolando

Siamo arrivati fin qui esplorando i territori della Mutantropologia.

Forse vi abbiamo annoiato un po', vi siamo sembrati troppo autoreferenziali, ma per poter parlare e accendere una discussione creativa è sempre necessario condividere le stesse informazioni di base. Ovvero un glossario e un percorso logico mentale comune.

Speriamo  infatti di essere riusciti a chiarire cos'è un gesto mutantropico e cosa non lo è, ma ci mancano ancora dei concetti da focalizzare: egonanismo, apateporia e osnoblosi; e la soluzione da proporre che noi identifichiamo nell'arte sinestesica.

Successivamente proporremo dei link con esempi pratici (casi di cronaca, studi scientifici, mode, riti iniziatici, etc.) sui quali confrontarci prima mutantropologicamente e poi sinestesologicamente. Ovvero esaminare queste realtà attraverso un nuovo vocabolario condiviso nei termini.

Da voi vorremmo soprattutto le critiche, vorremmo che obiettaste su tutto e ci faceste domande su tutto, vorremmo sapere le vostre opinioni, soprattutto quelle non concordi.

15 dicembre 2011

Autolesionismo ed Estasi

L’autolesionismo (body modification) non ha una valenza mutantropica intrinseca. Se avviene con intenti di affermazione, per esempio una prova di coraggio, è considerato mutantropico, ma se invece si tratta di auto-inflizione di punizione (data dai più disparati casi di disagio psichico), si ha invece a che fare con un gesto anti-mutantropico, prima definito come autolesionismo degenerativo.

L’assunzione di sostanze stupefacenti rappresenta un caso particolare: inizialmente conferma l’individuo nel suo ambiente, e quindi ha effetti mutantropici, ma successivamente, col degradarsi dello stato fisico del fruitore (più cosciente di quanto non si creda), diviene un’assuefazione antimutantropica, guidata cioè da una scorretta ricerca di estasi.

Il raggiungimento di uno stato d’estasi fine a se stesso ha effetti antimutantropici di cristallizzazione. D'altro canto l'appagamento del corpo, ovvero dei sensi, è da sempre una delle principali molle d'azione nell'uomo. Il buon vecchio Sigmund docet, seppur con tutte le sue esagerazioni.

L'appagamento del corpo, ovvero dei sensi, è probabilmente la pietra angolare di quel fenomeno che definiremo nel post successivo "egonanismo".

12 dicembre 2011

Limiti

La mutantropia non è evoluzionismo, poiché questo è involontario e comune al regno animale (sebbene un evoluzionista possa erroneamente trovare conferme nella mutantropologia). Come primi si definiscono quindi non mutantropici tutti quei cambiamenti non umani e/o prettamente naturali (visibili o invisibili).

Fra quelli umani non sono mutantropici i cambiamenti che non solo esulano dallo stato di  coscienza dell’individuo ma che, quand’anche coscienti, producono effetti contrari a quelli desiderati.

“I doni discendono dall’alto nelle loro proprie forme”. Con questa frase Goethe metteva in guardia colui che desidarava dal rischio di poter realizzare il proprio desiderio. È infatti esperienza molto comune il senso di insoddisfazione che segue, con un tempo maggiore o minore, l’appagamento del desiderio stesso.

Questa considerazione non è in contraddizione con il punto precedente, poiché si definisce mutantropico quel cambiamento che al momento della sua realizzazione viene percepito dalla coscienza dell’individuo come “positivo”, senza ulteriori considerazioni di lungo periodo.

La mancata percezione di positività o di successo nel cambiamento intervenuto dà origine alla frustrazione, fino alla vera e propria apateporia (che definiremo in seguito), o senso di handicap. Quest’ultimo è altamente mutantrogenico, anzi non ci si sbaglia nell’affermare che la maggior parte dei cambiamenti mutantropici abbiamo origine proprio dalla frustazione e dal senso di handicap.

Da questo punto di vista tutti gli uomini sono considerati handicappati.

6 dicembre 2011

Coscienza

Il termine Coscienza deriva dal latino (cum-scire: sapere insieme) e indica un determinato stato interiore degli individui che, per essere comunicato, deve essere descritto.

In realtà definire la coscienza e gli stati ad essi connessa è difficoltoso. A tuttoggi non è stato individuato nessun organo che la contenga e nessun sistema per poterne identificare i parametri. Non è oggettivamente possibile descriverla, né tantomeno individuarla concretamente.

Eppure, quando si parla di stato di coscienza, ogni uomo è in grado di comprendere intuitivamente cosa sia e a cosa serva, ma ciò che contraddistingue l’osservazione della sua esistenza e dei suoi livelli è che questi ultimi sono determinati dall’effettivo grado di coscienza di chi osserva. Ovvero solo chi accede a uno stato di coscienza particolare è in grado di riconoscere chi è giunto allo stesso stadio; solo chi ha gli stessi gradi di valore comparativi, lo stesso glossario costruito nello stesso percorso logico, è in grado di comprendere pienamente le connessioni implicite, le sfumature, delle speculazioni astratte ad essa connesse.

Questa dinamica crea grave imbarazzo nella comunità scientifica che, in quanto tale, è costretta ad ubbidire ai paradigmi su cui basa la sua stessa esistenza. Quando si parla di coscienza è inevitabile citare antichi testi, e antiche discipline, con analogie soddisfacenti a supportare le teorie sulla sua esistenza e gli stati a cui appartiene, ma per ogni pragmatico accademico questo metodo è ovviamente contestato e relegato a categorie di pensiero considerate dei veri e propri tabù razionali.

La neuroscienza osserva le reti neuronali e come il cervello utilizza le cellule nervose, i neuroni, che le compongono. Quando per esempio ci applichiamo a una disciplina e pensiamo, parte dei neuroni sparsi nel cervello si attivano simultaneamente e solo questi costituiscono le memorie necessarie a supportare quel tipo di pensiero. Ciò significa che maggiore è la frequenza di uno stesso tipo di pensiero, maggiore è il tempo in cui alcune cellule nervose vengono sollecitate e connesse fra loro, creando così una relazione a lungo termine che permette l’implementazione del pensiero stesso.

Ma questo significa anche che se i recettori non sono stimolati per tempi molto lunghi, ovvero si fanno solo certi pensieri e non altri, quando avviene il processo di scissione cellulare i recettori non utilizzati vengono disattivati. Il processo d’invecchiamento cellulare è quindi rappresentato dalla perdita della capacità d’utilizzazione dei recettori, ma per i neuroni significa anche che non è più fisicamente possibile supportare alcuni modelli di pensiero.

- Tale stato di vita: stato del modo di pensare; 
- Tale stato del sangue: le risposte biochimiche (peptidi) dell’organismo scatenate dalle connessioni neuronali;
- Tale stato di coscienza: capacità di supportare analiticamente modelli di pensiero complessi.

4 dicembre 2011

Mutantropia

Ad un primo approccio la mutantropia è la fenomenologia della mutazione umana, ovvero quell’insieme di manifestazioni e fenomeni che hanno contraddistinto la storia dell’uomo nel suo tentativo di cambiare al fine di ricavarne un vantaggio.

Poichè si tratta di una tendenza antica quanto l’uomo, si può definire la mutantropia un archetipo eterno dell'inconscio collettivo, per cui accessibile globalmente a qualunque essere umano. Molte delle sue categorie si sono trasferite per memetica.

Fuori dalla coscienza dell’individuo, la mutantropia ha però diverse cause che possono essere definite naturali e universali, cioè materia di studio della fisica quantistica come di altre discipline scientifiche. In questo caso si parla di cause mutantrogeniche e le discipline ad esse associate si sovrappongono alla mutantropologia.

L'ipotesi genetica prevede che il cosiddetto darwinismo abbia dimostrato che gli esseri viventi si selezionano e si impongono geneticamente per la capacità di saper trarre vantaggio dall'ambiente circostante, qualunque cosa si intenda con questa formula.

Trasferita all’uomo, questa propensione può essere chiamata gene del miglioramento o dell’autoaffermazione. Tale caratteristica genetica, se esistente, è la base della mutantropia come fenomeno naturale.

3 dicembre 2011

George Bernard Shaw

Un cervello sciocco assimila la filosofia come follia, 
la scienza come superstizione 
e l'arte come pedanteria.