Ma bisogna pur dare un valore alle parole che si usano, bisogna pur dare dei parametri di confronto per i concetti che si esprimono se si vuole innescare la discussione.
La mutantropologia è quella branca dell’antropologia che oggi studia consapevolmente i cambiamenti mutantropici dell’umanità.
I cambiamenti nell’uomo possono essere di due tipi: naturali e culturali.
I primi si distinguono in a) cambiamenti genetici (fasi ormonali della crescita, sviluppo spontaneo di potenzialità latenti, sindromi d’origine genetica etc) ovvero previsti dal dna individuale, e b) imposti naturalmente (da cause esterne come: incidenti, traumi, aggressioni).
I secondi, quelli culturali, si distinguono in a) socialmente imposti (es. circoncisione, taglio di capelli, posture etc), e b) mutantropici, ovvero guidati da uno stato di coscienza “evolutivo”, cioè dal “desiderio” dell’uomo di migliorare sé stesso. Esiste una categoria residuale, c) l’autolesionismo degenerativo.
Tuttavia ogni cambiamento umano può essere elaborato dalla coscienza, divenendo fase di un cambiamento più generale, ed assumere quindi una valenza mutantropica. Sono questi i cambiamenti cosiddetti mutantrogenici, ovvero di origine naturale o culturalmente imposta, ma con effetti mutantropici e quindi oggetto di studio della mutantropologia.
I cambiamenti umani possono quindi essere o mutantropici o potenzialmente mutantrogenici.
La differenza fra un cambiamento potenzialmente mutantrogenico e uno effettivamente tale risiede esclusivamente nello stato di coscienza, cioè nella capacità di elaborazione, di chi lo vive.