15 settembre 2014

L'Intelligenza e i suoi sensi

Amici e follower carissimi, come state? È andata bene l'estate? Rilassati e rinfrancati nello spirito? Noi come redazione stiamo bene ma volevamo subito mettere le mani avanti su un paio di punti ;)

Quest'anno il nostro lavoro sarà orientato sulla realizzazione della Sinestesopera, quindi la redazione, già piuttosto scarsa di per sé, perderà ulteriormente effettivi. Ciò non significherà la chiusura di questo blog forse insolito ma anche rivoluzionario (e secondo noi importantissimo ;), ma di certo si diraderanno i post. E in ogni caso aumenteranno quelli a carattere didattico rispetto a quelli di critica sociale, o anche artistica. Questo un po' per le nostre intenzioni a suo tempo dichiarate a fronte di certe critiche, un po' perché, nonostante il pensiero di alcune teste gloriose, fare critica sociale è decisamente più impegnativo che scrivere trattati  teorici, dal momento ti impone di "stare sul pezzo", cosa oggi per noi più difficile.

Oggi infatti parleremo di intelligenza, perché una delle altre critiche che ci arriva di frequente riguarda l'eccessiva difficoltà della nostra trattazione, difficoltà che allontanerebbe le menti semplici e ci renderebbe invisi ai neofiti. Insomma per seguirci sembra sia necessario essere intelligenti. Ma va? Che stranezza, e che arroganza, visto soprattutto il livello medio riscontrabile in rete. Già, ma cos'è l'intelligenza? Come la si può giudicare?

Dall'evidente etimologia latina di legere intus (leggere dentro), l'intelligenza viene definita in modo singolarmente macchinoso "una proprietà cognitiva che sottende alla buona esecuzione di tutte quelle attività della mente che implichino un lavorare sulle informazioni che si possiede per andare oltre". Definizione come si diceva macchinosa e peraltro insoddisfacente, perché esclude chi dal mare magnum di informazioni che ci circondano, da noi già definito "collasso dei significanti", riesce ad estrarre quelle veramente pertinenti al problema in analisi. Capite quindi che a questa stregua si sostituisce una definizione oggettiva con la descrizione di una funzione biologico-mentale? Infatti, e qui lo dichiariamo sotto la nostra responsabilità, l'intelligenza NON è una "proprietà cognitiva", se non forse per pochi istanti. Ma poi che significa "andare oltre"? Oltre cosa? Ah Wikipedia, esperimento interessante ma così goffamente realizzato!

Provvediamo quindi subito a definire l'intelligenza come "efficienza mentale nell'impiego di informazioni", specificando quindi che essa riguarda esclusivamente la mente (l'intelligenza del corpo non esiste, o almeno non direttamente ma sempre per il tramite mentale) e peraltro stavolta accettando la definizione di efficienza fornita da Wikipedia, ovvero "capacità di azione o di produzione con il minimo di scarto, di spesa, di risorse e di tempo impiegati" e annoverando fra le "risorse" le informazioni a disposizione. Affermiamo inoltre che si tratta di un sistema complesso di doti, o di talenti, variamente interrelate. Si vengono così a delineare le seguenti 3 aree: la reperibilità delle informazioni, l'efficacia (da dizionario, la "capacità di produrre l'effetto voluto") di elaborazione e la sua efficienza sopra definita. In breve l'efficacia riguarda il "cosa fare", l'efficienza il "come farlo" e le risorse/informazioni il "con che cosa". Ci sarebbe una quarta area normalmente rientrante nella questione, ovvero la capacità di comunicazione o esposizione, ma come vedremo la sua collocazione qui è solo tangente e comunque un po' abusiva.

1) la reperibilità delle informazioni
Questo è forse l'aspetto più delicato e importante del problema, comunque apparentemente il meno compreso dalla psicologia attuale, nonostante il fiorire di studi sull'apprendimento. Ma forse si fa confusione sulle tre cause che gli danno origine: a) fortuna o karma, b) curiosità o pulsione e c) sensibilità o comprensione. 
a) Si ha una fortuna più o meno karmica laddove ci si trova nel posto giusto al momento giusto: ad es un giovane potenzialmente portato a fare un mestiere che entra in contatto con professionisti dello stesso. Ma normalmente la più grande fortuna è essere di famiglia benestante e avere così accesso a determinati ordini di studi. Si hanno così informazioni specifiche e privilegiate, indiscusso vantaggio nella soluzione di problematiche specie se legate alla società del tempo. Detto questo, ogni competenza è un "colpo di fortuna" se applicata al momento e nel modo giusto, e ad ognuno la sua.
b) si ha curiosità o pulsione attiva laddove l'individuo cerca motu proprio, cioè per sua iniziativa e volontà, di ampliare la quantità di informazioni in suo possesso. E ciò può avvenire in due sensi: (b1) verso la novità, cioè verso materie o questioni perlopiù sconosciute, e in questo caso si parla di attitudine eclettica. Oppure (b2) verso ciò che già conosce, intraprendendo così ulteriori approfondimenti, si parla in questo caso di attitudine analitica
c1) la sensibilità o capacità di comprensione, dote certamente molto personale, è l'attitudine di una persona a ricevere informazioni da una materia o una situazione, generalmente esterna, oggettiva. Sia detto per inciso che è a questa attitudine che si riferisce l'etimo della parola intelligenza, ovvero la capacità di intelligere o "leggere dentro" dati (utili e non). Non affrontiamo qui il problema dell'interpretazione, che si innesta su quello di stato di coscienza. Normalmente la sensibilità viene considerata a livello emotivo a causa di una sorta di eredità culturale del romanticismo, ma qualunque capacità di comprensione, intellettuale o emotiva, rientra nella categoria. In questa rientra anche c2) uno degli aspetti più delicati della questione: l'autopercezione, ovvero la capacità di avere di sé e delle proprie capacità un'opinione corretta, il più possibile rispondente al reale. In altri termini parliamo di consapevolezza di sé, o autocoscienza. 

Per riassumere: così come la curiosità si realizza nella forbice ecletticità/analisi, la sensibilità si muove in un ambito esteriore/interiore (comprensione del mondo vs consapevolezza di sé). Aggiungiamo qui che solo queste due categorie, curiosità e sensibilità, fanno parte dell'intelligenza, ovviamente non la fortuna karmica, per quanto i suoi risultati (maggiore istruzione o competenza) rientrino certamente nel sistema complesso che si sta trattando.

2) L'efficacia nell'elaborazione
Questa dipende da due fattori: la quantità/qualità delle informazioni e le capacità logiche di loro elaborazione. Per quanto riguarda il primo dei due aspetti se ne è già trattato al punto precedente, quindi qui ci concentreremo sull'aspetto "a parità di informazioni, chi arriva ad un risultato migliore", cioè più soddisfacente, più "razionale rispetto allo scopo" e senza scordarci che anche quest'ultimo dipende dalla sensibilità, ovvero dallo stato di coscienza, quindi in qualche modo dall'intelligenza di chi lo giudica. Ma qui lo diamo per dato. 
Tipico dell'efficacia è che, nella generalità dei casi (purtroppo non sempre), può essere misurabile. Ponendo ad esempio uguale a 100 la soluzione ideale di un problema, si può avere così la soluzione a cui è arrivato il soggetto X pari, ad es., a 90 e quella del soggetto Y pari a 80. X ha proposto la soluzione più efficace, più utile rispetto allo scopo. 
Ma se questa misurazione è facilmente applicabile a problemi di tipo fisico o logico-matematico, diventa più complesso applicarla a quelli di tipo emotivo-comportamentale, per quanto pure in questi sia possibile ipotizzare scenari di soluzione ed assegnare ad ognuno di essi un punteggio a scalare per indicare un successo più o meno parziale, piuttosto che un fallimento.

3) l'efficienza nell'elaborazione
Qui si tratta di un'altra prospettiva al medesimo problema, infatti può darsi che in determinate situazioni una soluzione più efficiente sia preferibile ad una più efficace. Per conservare l'esempio di prima, può darsi che il soggetto X arrivi alla sua soluzione efficace al 90% dopo giorni di elaborazione con spreco di energie e impiego di mezzi quali elaboratori o altro, mentre l'Y arrivi alla sua soluzione meno efficace dopo 5 minuti di ragionamento autonomo. È chiaro come nella gestione delle emergenze la seconda soluzione sia considerata "più intelligente" della prima, nei fatti la più razionale rispetto allo scopo e viste le condizioni.
Su questi ultimi due punti intervengono le paure, ovvero l'apatepofobia (paura dell'apateporia, cioè di possedere un sistema di valori/informazioni sbagliato) e l'atiquifobia (paura del fallimento, ovvero di non essere in grado di applicare le informazioni correttamente). Finché sono semplici paure ci aiutano a metterci in discussione e progredire, ma quando degradano in fobie creano blocchi e dolore, quindi tecniche auto-anestetiche che, come abbiamo visto, costituiscono l'esca ove allignano le dinamiche osnoblotiche. 

Per riassumere e sintetizzare possiamo affermare che l'intelligenza si muove su una duplice forbice percettiva ed elaborativa, con la prima che si divide a sua volta in pulsione verso la verità eclettica (1.b1) o analitica (1.b2) e comprensione della situazione oggettiva (1.c1) o autocoscienza (1.c2), mentre l'elaborazione si divide in efficace (sub 2) ed efficiente (sub 3). L'intelligenza è quindi la presenza di talenti specifici su determinate percezioni e la capacità di elaborarne i dati, definendo quindi forme di intelligenza la curiosità, la capacità di analisi, la capacità di comprensione, l'autocoscienza, l'efficacia e la velocità (efficienza) di elaborazione. Essa è coadiuvata dalla fortuna karmica (punto 1.a) ed impreziosita da una buona capacità di comunicazione, la quale però è una dote a sé, non propriamente facente parte dell'intelligenza. Può infatti avere una buona capacità di esposizione anche un'intelligenza modesta, tipicamente un portavoce, ma anche un ingannatore in grado di indorare la pillola, in parole povere un osnoblotico (attenzione: non stiamo affermando che l'osnoblotico sia un idiota, anzi spesso è vero il contrario, bensì che un idiota con buone capacità di esposizione sia un eccellente osnoblotico). Detto questo, è pur vero che il buon comunicatore almeno una dote che si applica all'intelligenza deve avercela: la capacità di sintesi, eventuale punto 4 se solo non fosse parzialmente già compresa nel concetto di efficienza di elaborazione (non si può fare un ragionamento compiuto in un tempo ragionevole se non si è in grado di sintetizzare il mare magnum dei dati).

Ma forse la caratteristica più interessante dell'intelligenza è un'altra: che con l'esercizio essa si accresce, ovvero è cumulativa e ciò in modo controllabile, ovvero dipendente dalla volontà del soggetto. Più si accrescono le informazioni più si allena la capacità di elaborarle, e più si trovano soluzioni più si inscrivono gli schemi neuronali che aiuteranno a trovarne altre. Anche perché con l'esperienza diretta, con la conoscenza (ci verrebbe da usare l'antico termine greco, ma già ci hanno accusato di farlo), aumenta lo stato di coscienza, con tutte le implicazioni di cui abbiamo diffusamente parlato nel blog, specie nel post dedicato

Insomma, per consolare coloro che trovano le nostre trattazioni troppo complesse, sappiate che l'intelligenza in sé può essere oggetto di atto mutantropico. Certo, in certi casi è necessario un evento dagli effetti mutantrogenici. Come... così, per fare un esempio a caso... una buona sessione di Sinestesi! ;)