25 dicembre 2013

Etica e Sinestetica


Gentili lettori, questa atmosfera natalizia tanto foriera di letizia (sì, ma dove?) ci porta a dare ascolto a una serie di richieste riguardo all'etica occasionalmente emerse dai commenti, e in effetti l'ultimo post su Nelson Mandela ci offre il destro per parlarne, essendo la biografia di questo signore un caso che ha del paradigmatico. Cominciamo dicendo una cosa: noi non siamo nessuno per poter parlare veramente di etica, né filosofi, né pensatori (di rilievo, intendiamo... vivaddìo cerchiamo di usare quella poca materia grigia di cui siamo dotati), né sacerdoti, né tantomeno profeti. Prendete queste come considerazioni generali secondo le categorie della Mutantropia e della Sinestesi, in ogni caso sempre contro ogni osnoblosi, e integratele con quanto precedentemente esposto da un punto di vista più connotato di pensiero trascendente nel post Etica e Senso Religioso.

Etica, dal greco antico εθος (o ήθος), èthos, etimologicamente significa "carattere", "comportamento", "costume", "consuetudine", ma è invalso il senso di "giusto comportamento". Secondo noi il suo senso va oltre e significa "perseguire il giusto" sempre e in ogni caso, anche contro il proprio interesse. Chiaramente il "giusto" dipende dallo stato di coscienza, esiste quindi un'etica oggettiva, ovvero coerente a un "bene" innegabile almeno dalle principali correnti spirituali e filosofiche vigenti, ed un'etica soggettiva, che è comunque etica o almeno è onestà con se stessi. Qui si innesta l'annoso problema di quanto quest'ultima, la soggettiva, sia davvero etica, cioè quanto il perseguimento di un bene percepito come tale ma con ogni mezzo, anche interpretabile come ripugnante o aberrante, abbia un qualunque connotato positivo. Cioè se Hitler fosse stato in buona fede nel perseguire il suo ideale di bontà per la terra/l'umanità/la razza ariana, sarebbe stato meno Hitler? Chi giudica il mezzo e la sua adeguatezza al fine?

Purtroppo intervenire sulle questioni di coscienza è sempre delicato e fuorviante, proprio perché comportarsi in modo etico non significa sempre e necessariamente comportarsi "bene". In linea generale (e davvero, per favore comprendeteci, solo in quella), se il Vangelo ci insegna a porgere l'altra guancia, cosa che noi non abbiamo mai visto fare eppure viviamo in una società sedicente cattolica, altri libri sacri, uno per tutti la Bhagavad Gita, ci insegnano a gestire lo scontro sì, ma in modo appunto etico, cioè senza conseguenze karmiche per noi e per gli altri. Perché, come abbiamo esposto nel post sopra menzionato, è proprio qui che si configura il nucleo centrale dell'etica: l'attenzione all'altro, all'ambiente, al sistema olistico di cui siamo parte. È etico il comportamento che lo considera, lo preserva e non ne compromette i delicati equilibri, e qui Adolf non ha più scappatoie.

E allora lo scontro? Quando e come è concesso ferire? Anche qui si entra in aspetti di coscienza molteplici e davvero individuali, ma sempre in linea generale possiamo rispondere che ciò deve avvenire quando lo scontro è veramente necessario, chiaramente nella consapevolezza del fatto che ognuno di noi è responsabile della propria conflittualità. E al quando si aggiunga il come, ovvero sempre con le modalità che l'antica tradizione cinese definisce Wu-Wei, concetto in questo link decisamente banalizzato in quanto il "non fare" poi significa effettivamente "fare senza conseguenze karmiche", per estensione "senza intenzione". Il che normalmente significa fair play, campo e strumenti "condivisi", nessun sentimento ostile o di vendetta. Guerra che non ferisce e non esalta, da eseguire anzi freddamente, come una "questione di ordine", sapendo che il fine non giustifica i mezzi e sarà di questi che, alla fine, si dovrà rendere conto (guardate cosa sta succedendo a quel tizio che ha sfruttato il parlamento italiano, l'organo legislativo del paese, per ripulirsi penalmente da una vita da criminale).

Si può riassumere quindi vedendo l'etica come quel fare non immediatamente razionale rispetto allo scopo pratico che si propone, laddove però questa irrazionalità (apparente) in realtà sia fortemente motivata nel perseguimento di un bene e nel rispetto del tutto. Quindi è etico quel gesto che ha una motivazione più grande del suo apparente scopo pratico. Vero che etica è azione mentre morale è pensiero, ma quella dell'etica non è un'azione qualsiasi, bensì è motivata dal pensiero, dalla morale, dallo stato di coscienza. Un fare responsabile, quindi, che risponde al tribunale interiore ma spesso anche ad alcuni esteriori. 

Come s'è detto c'è un'etica assoluta, prima denominata "oggettiva" e ognuno tende a vedere tale quella del suo credo, che quindi non può essere redarguita, nel nome della convivenza fra fedi. Se non forse tramite una Tradizione sapienziale che come tale dovrebbe essere connessa con le radici stesse di ogni fede, ma qui ci infileremmo in un discorso troppo profondo (e dibattuto) per i nostri propositi. E c'è poi un'etica personale, prima definita "soggettiva", perché personale è lo stato di coscienza, la morale. 

Purtroppo o per fortuna, però, quando uno stato di coscienza non è completo, cioè è immaturo o deficitario, cosa normale nel cammino sulla via dell'esperienza, anche colui che persegue "il giusto" fallisce ed ha un'apateporia, che a sua volta, similmente alla dinamica mutantroposnoblotica, lo mette in discussione e lo costringe a cercare un nuovo "giusto", un nuovo valore. Auspicabilmente quest'apateporia deve riguardare esclusivamente lui stesso, cioè non dev'essere frutto o causa di nocumento agli altri o all'ambiente: rischio sulla mia pelle, chi ci rimette sono solo io. In realtà un tale gesto non è proprio del tutto etico, a causa del rispetto dovuto almeno al nostro corpo, ma è già un buon inizio per distinguere Hitler da Jim Morrison :) A questo proposito nel nostro post sulla benvenuta apateporia parlavamo di Mutantropo interiore, che poi significa coraggio di cambiare sistema di valori contro ogni apatepofobia. E per guidare lo stato di coscienza verso ciò cui ancestralmente l'uomo è stato dedicato, quindi verso il "bene" che accompagna l'umanità dall'alba del suo stesso esistere, ci sono da sempre simboli e archetipi ed è qui che interviene in prima istanza la Sinestesi, est-etica dalle caratteristiche che ormai dovremmo conoscere bene.

Insomma essere etici significa essere giusti nei confronti del mondo e onesti con se stessi. Ovvero vedere le apateporie per quelle che sono, permettere agli eventi del mondo - figli del karma - di essere significanti. Così l'etica soggettiva lentamente si plasma e diverrà un'etica simile a quella oggettiva, perché maturerà nella consapevolezza dei suoi effetti e in un ambito interpretativo, quello archetipico-simbolico, che ad oggi è l'unico per una, chiamiamola così, corretta decodifica degli stessi. E qui si affronta un passo successivo: che fare quando si è raggiunta l'armonia col mondo (ammesso che ciò sia possibile)? L'uomo è alla ricerca di armonia e laddove la trova da Mutantropo tende a mutarsi in Immobilista. Ma è anche vero che l'assenza di apateporie, fondamento primo dell'armonia, è ciò a cui porta la via etica. A ognuno la sua, secondo il suo stato di coscienza: il ragioniere saprà essere un ragioniere in armonia, così il macellaio, così il filosofo. Almeno in armonia col mondo, e già questo sarebbe un risultato eccezionale, se tutti fossimo etici.

Ma da un ulteriore punto di vista, in armonia col mondo significa in qualche modo esserne prigionieri, accettare le sue logiche. L'uomo in quanto anima, e intendiamo la sua anima più autentica e profonda, capisce istintivamente che il mondo non è il suo regno, che essa appartiene ad un altrove. Allora l'etica diventa qualcosa d'altro e un simile scopo, per essere perseguito, inevitabilmente scardina equilibri forse eccessivamente di comodo portando nuove apateporie (cfr Gv 15, 2). Anche in questo caso interviene la Sinestesi, perché il confronto cui sottopone porta l'anima a verificare le distanza che separa il Regno dal suo tranquillo mondo di ragioniere, di macellaio o anche di filosofo. La porta a capire che ogni uomo ha il diritto-dovere di perseguire scopi spirituali trascendenti, e alcuni lo capiscono prima, altri dopo, altri mai (nella vita presente). Per il terzo tipo l'armonia col mondo è fondamentale. Per gli altri due parliamo della via del Metantropo rispetto a quella dell'Eumutantropo semplice.

Bene, è Natale. Quale tipo di Mutantropo interiore vorremmo far nascere? :)

11 dicembre 2013

Mutantropia di Nelson Mandela


Questa settimana avremmo voluto parlare dell'ennesima vergogna fra le vergogne nazionali: l'ignominiosa cacciata dal senato del politico più impresentabile del dopoguerra (e in Italia questo è già tutto dire), ma procrastinazioni, questioni di opportunità e l'evento di cui andremo a trattare ci hanno fatto cambiare idea. In fondo perché dopo i vari casi umani alla Morgan e Paolini avremmo dovuto parlare ancora di scelte sbagliate, di conformismo ed egonanismo aberranti, di stupidità tanto enorme da rovinare immeritate fortune?

Ieri all'Fnb Stadium di Johannesburg, dove apparve per l’ultima volta in pubblico, c'è stata la commemorazione di un uomo tanto speciale da aver reso possibile l'arrivo di 80 capi di stato (gente che, così... dovrebbe avere le agende già piuttosto piene), con tanto di presidente americano che stringe la mano a quello cubano, oggi Raul Castro, teoricamente nemico dichiarato. Ma chi fu Nelson Mandela detto Madiba? Vorremmo qui brevemente rievocare i principali fatti biografici per sottolineare la sua attitudine mutantropica e gli effetti che questa ha portato. Per la biografia ufficiale utilizzeremo come riferimento quella del sito mandelaforum.it.

Nato nel 1918 da famiglia tutto sommato non eccessivamente povera, metodista, sia il suo nome Rolihlahla ("attaccabrighe"), che il suo soprannome Nelson, sono stati mutamenti culturalmente imposti. Ma se è vero che nomina sunt omina, il ragazzo fece onore alla suo appellativo risultando sin da subito combattivo e deciso. All'inizio per perseguire i suoi interessi personali (mutantropo egotico), come tipicamente accade ai giovani, poi vieppiù per realizzare ideali di giustizia anche contro il proprio interesse. Di certo fece onore al suo nome quando nel 1940, a 21 anni, fu espulso dall'università per aver guidato una manifestazione studentesca insieme a Oliver Tambo, ma oggi è difficile capire come dovesse essere allora vivere in Sudafrica per un giovane nero. E certo quando l'anno dopo fugge a un matrimonio combinato dalla tribù lo fa per scopi egotici ammantati di vago senso di giustizia. Senso che però avrà modo di approfondire a Johannesburg, dove troverà lavoro come guardiano di miniere. 

Questo gli provocò uno sdegno tale da indurgli i primi due cambiamenti di tipo mutantropico: 
1) insieme a Walter Sisulu e Oliver Tambo costituisce la Lega Giovanile dell’ANC (African National Congress), e in pochi anni ne diviene presidente, passando così da una forma di lotta autonoma e spontanea a una più organizzata e istituzionale.
2) con un'incredibile determinazione, completa i suoi studi di legge all'Università del Witwatersrand, e con Tambo avviò il primo studio legale per neri. 
Insomma il combattente rimane tale, solo più civile e meglio organizzato, grazie anche a un'intelligenza e una sensibilità fuori dal comune. Ottiene così i primi risultati, anche organizzando le masse in atti di protesta, ovvero (ai fini della nostra analisi) eminentemente anticonformisti. Certo per lui la cosa era apparentemente più semplice che per noi: il potere bianco e dittatoriale appariva come un monolito da distruggere, insieme alle odiose leggi razziali che imponevano l'apartheid. In un paese osnoblotico come il nostro avrebbero semplicemente negato l'esistenza di ogni ingiustizia sociale, imputandone le voci al più a dicerie di frange comuniste ;)

Da Wikipedia: "Inizialmente coinvolto nella battaglia di massa, fu arrestato insieme ad altre 150 persone il 5 dicembre 1956, e accusato di tradimento. Seguì un aggressivo processo, durato dal 1956 al 1961, al termine del quale tutti gli imputati furono assolti. Mandela e i suoi colleghi appoggiarono la lotta armata dopo l'uccisione di manifestanti disarmati a Sharpeville, nel marzo del 1960, e la successiva interdizione dell'ANC e di altri gruppi anti-apartheid. Nel 1961 divenne il comandante dell'ala armata Umkhonto we Sizwe dell'ANC ("Lancia della nazione", o MK), della quale fu co-fondatore. Coordinò la campagna di sabotaggio contro l'esercito e gli obiettivi del governo ed elaborò piani per una possibile guerriglia per porre fine all'apartheid. Raccolse anche fondi dall'estero per il MK, e dispose addestramenti para-militari, visitando vari governi africani. Nell'agosto 1962 fu arrestato dalla polizia sudafricana, in seguito a informazioni fornite dalla CIA".

Dal processo che seguì non riuscì ad uscirne nel modo appassionato e brillante che aveva utilizzato per quello precedente, e tutti sappiamo quanto retorica - diciamo abilità oratoria - ed amore di sé vadano a braccetto. Ma questa volta no, questa volta lo aspettava una terribile apateporia. Il "mutamento culturalmente imposto" dell'imprigionamento fu un colpo durissimo, vista anche la crudeltà del carcere dove venne rinchiuso: un bugigattolo gelido di pochi metri quadrati in mezzo all'oceano. A questo punto ha avuto veramente modo di rimanere solo con se stesso e finalmente riflettere, un'esperienza sinestetica oseremmo dire estrema. A questo punto poteva rimanere immobilista e formalmente fedele al suo personaggio di attaccabrighe, oppure cambiare e in questo caso sappiamo bene le 4 scelte davanti a cui s'è ritrovato: conformismo egoista (adulando il governo o i suoi carcerieri), egoismo puro (lottando per migliorare solo le sue condizioni), conformismo puro (l'accettazione più bieca, il silenzio più grigio) o... evoluzione. Che ovviamente non significa per forza tradimento di sé.

Sappiamo che questa fu la scelta che prese e lo diciamo perché non fu certo quella che di per sé porta vantaggi. Chiuso in un carcere di massima sicurezza, senza alcuna prospettiva per sé, cominciò a dedicarsi completamente ai compagni di prigionia. E non per averne in cambio vantaggi, ma bensì per il perseguimento di ciò che riteneva giusto: indumenti più dignitosi (infatti la sua battaglia non si fermò quando riuscì a ottenerli per sé), condizioni di lavoro meno inumane, pasti migliori, possibilità di studiare in cella. La vera portata mutantropica di questi cambiamenti è descritta meglio sempre da Wikipedia: "Rifiutando un'offerta di libertà condizionata in cambio di una rinuncia alla lotta armata (febbraio 1985), Mandela rimase in prigione fino al febbraio del 1990. [...] Durante la sua detenzione, durata appunto 26-27 anni, Mandela lesse molti testi, poemi, poesie, liriche, libri in lingua afrikaner (olandese) e inglese, lingua che nel corso della detenzione imparò a perfezione conoscendo grammatica e parlato del gergo comune. In particolare [...] una poesia in inglese del poeta britannico William Ernest Henley, del 1875, dal nome Invictus, dal latino "invitto", o "invincibile" della raccolta Vita e Morte (Echi), pubblicata per la prima volta nel 1888 all'interno del libro Book of Verses. Questa poesia per Mandela è stata la principale causa del suo continuare la vita in prigione nell'arco di 26 lunghi anni". Insomma ecco che torna l'arte ancella dell'anima, il nucleo centrale della nostra poetica sinestesica. E GUARDA CASO ancora una volta legata al concetto di Mutantropia Evolutiva.  

Sappiamo tutti quale sarà l'effetto combinato di queste energie mutantropiche: uscito dal carcere nel febbraio del 90 a furor di diplomazie internazionali, vincerà il premio Nobel per la pace e sarà acclamato presidente del Sudafrica 4 anni dopo. Salirà quindi al più alto gradino del potere del paese che lo aveva condannato e incarcerato, perseguendo ogni azione in suo potere (questa volta pacifica) per annullare l'apartheid e ripristinare l'equità sociale. Diventato pacifista convinto, "Il perdono diventò la sua arma principale.[...] In modo sorprendente, egli dette un ricevimento per le vedove dei politici che lo avevano imprigionato e pranzò con il magistrato che sosteneva la sua impiccagione dopo che era diventato Presidente. Mandela si preoccupava della costruzione della Nazione e faceva ogni sforzo possibile per fugare le paure delle minoranze in Sudafrica. Era l’inizio del suo nuovo ruolo di negoziatore e intermediario per la pace e la riconciliazione. Lungi dal cercare vendetta per quegli anni lunghi e solitari, il suo desiderio di libertà per il suo popolo è divenuto desiderio di libertà per tutti, neri e bianchi. Grazie a questo impegno, la nuova costituzione sudafricana bandisce la discriminazione nei confronti di tutte le minoranze".

Oggi questo Eumutantropo è morto in odor di santità... una santità laica, perché le religioni sono ancora troppo obnubilate e rattrappite per accettare il concetto di Mutantropia. È l'eroe del millennio, il rappresentante nobile di una nazione che ha qualcosa da insegnare al mondo. Un esempio positivo quindi, un vero nuovo modello di uomo. Come noi negli ultimi 20 anni con Berlusconi. Perché diciamolo, tranne il carcere sono... UGUALI! ;)