25 marzo 2012

Mutantropia e Sinestèsi

La Sinestèsi crea una Sinestesopera quando:
1)    Vi sia la partecipazione di più artisti del tipo evolutivo finalizzata a diminuire, fino ad annullare, gli “effetti di personalità” di ogni singolo.
2)    Vi sia un chiaro riferimento impersonale ad archetipi eterni connaturati all’uomo.
3)    Sia prevista la partecipazione dello spettatore in modo, almeno in linea di principio, irripetibile.
4)    Vi sia un fine altro rispetto ai mezzi di richiamo tipici dell’entertainment, quali lo shock sensoriale, la sorpresa o l’eccessivo coinvolgimento emotivo.

La Sinestèsi può distinguersi dall’arte multimediale e da quella sedicente sinestetica contemporanea anche grazie alle categorie mutuate dalla Mutantropologia. Ciò perché la Mutantropia intrattiene rapporti eccellenti con qualunque forma d’arte, nella misura in cui quest’ultima suggerisce intuitivamente una “verità”, contribuendo quindi ad instaurare un cambiamento migliorativo nel fruitore.

E non tutte le sinestesie sono mutantropiche: un fulmine che colpisce o un cane che azzanna la caviglia danno origine a esperienze di certo fortemente sinestetiche, ma sicuramente non migliorative (al limite, se correttamente elaborate, mutantrogeniche). Tuttavia tutte le esperienze mutantropiche sono sinestetiche. Da questo punto di vista si può definire la Sinestèsi come quell’estetica o quella poetica che si occupa degli eventi di sinestesia mutantropici, quindi culturali. In altre parole: quando una sinestesia ha effetti mutantropici, è materia di studio della Sinestetologia in quanto disciplina. E, come esiste una Mutantropologia cosmica, così esiste una Sinestetologia cosmica, la quale studia le cause o i fenomeni fisici naturali universali che portano, attraverso esperienze sinestetiche, a effetti mutantropici o mutantrogenici.

Tuttavia è innegabile che l’uomo di oggi si ritrovi intrappolato in un sistema sociale tanto complesso quanto cogente, ove dinamiche osnoblotiche non permettono più una Mutantropia precedentemente definita “evolutiva”, cioè affrancata dai condizionamenti sociali del conformismo o personali, anche se spesso socialmente indotti, dell’egonanismo. I beceri coinvolgimenti emotivi, le promesse di sollazzo sensoriale, il risveglio di paure ancestrali (tipici meccanismi dell’ego), i mentalismi cervellotici e auto compiacenti, portano il fruitore dell’arte moderna a un punto di apparente non ritorno a cui sembra inesorabilmente condannato: essere un consumatore acritico di piacere inoculato per via culturale.

Tutto ciò viene evitato dall’arte Sinestesica: Il fruitore è garantito dall’Osnoblosi, poiché la Sinestesopera, per quanto eventualmente gradevole o piacevole, non è certo un’opera di intrattenimento, bensì esclusivamente finalizzata a far emergere domande sepolte (qualche volta da eoni) nella sua interiorità. L’Arte Sinestesica realizzerà l’opera senza nemmeno voler evocare fobie di sorta, poiché il processo di fruizione eviterà sovratoni stentorei o d’effetto e si limiterà ad approcci invitanti a un “altrove”. Il processo è garantito dall’egonanismo in quanto nessun artista gli è “guru”, nessuno indica una strada maestra ed univoca da percorrere dettata dal proprio stato di coscienza del momento. L’unico “intervento” umano è l’idea con la quale connettere il gruppo di artisti, di cui comunque ognuno è autonomo nella propria creatività, all’archetipo di riferimento.

La Sinestèsi, con la sua capacità unica di risvegliare possibilità latenti, riporta l’uomo nella condizione di trovare in sé stesso la causa prima di quei processi di cambiamento precedentemente definiti mutantropici evolutivi. Ovvio: finché si è disposti ad apprendere, cioè a rimanere intellettualmente onesti di fronte ad eventuali apateporie.

21 marzo 2012

Albert Einstein

Per me è sufficiente il mistero dell’eternità della vita, il sentore della meravigliosa struttura dell’universo e della realtà, insieme al tentativo di comprendere quella parte, sia pure piccola, della ragione che manifesta se stessa nella naturra.

18 marzo 2012

Arte Sinestesica

Quale alternativa si propone oggi all’arte multimediale masturbatoria o alla cosiddetta arte sinestetica illusoria? Quale altra faccia della stessa medaglia può contrapporvisi esteticamente, epistemologicamente ed eticamente? E chi è in grado di crearla, all’infuori dell’artista egoico moderno?

Secondo noi è la Sinestèsi, estetica e poetica in grado di creare vere Sinestesopere. Queste devono essere forgiate da “veri” artisti, cioè mutantropi evolutivi che ragionano con la propria testa ma non secondo il proprio interesse. L’accento è posto sull’esperienza e relega l’artista, comunque sempre di alto livello, a un ruolo di secondo piano. L’artista c’è, è presente con la sua proposta, ma la sua personalità non è al centro dell’opera. L’opera stessa non ha un centro ben preciso, dando origine così, e finalmente, ad un’opera eccentrica. L’artista c’è e nel suo ambito, nel suo “senso”, è solo, ma deve collaborare con almeno un altro artista, o con almeno un altro senso e/o altro ambito. L’opera d’arte che ne ha origine è unica, imprevedibile ed irripetibile.

L’arte sinestetica, o più esattamente “arte a fini sinestetici”, nonostante gli illustri predecessori - dai poeti maledetti Baudelaire e Rimbaud, che dall’uso di droga vivevano esperienza sinestetiche, ai pittori visionari alla Kandinskij, sinestetico per malattia, dagli happening di Kaprow, sinestetici per collettivizzazione, al “teatro totale” del Living e di Grotowsky - presuppone un approccio assolutamente innovativo al fatto artistico, nell’intento di creare un’opera in grado di connettere ai tradizionali sensi fisici anche i sensi interiori che sono di diversa e variegata qualità in ognuno di noi. Ma è necessario andare oltre. Con l’arte multimediale siamo rimasti agli anni 60, a una sorta di “teatro totale” semplicemente riverniciato di tecnologia. Oggi è forse necessario “eticizzare” l’arte, ovvero darle un senso, una funzione che quando non è sociale (certi tempi e certe ambizioni hanno mostrato tutti i loro limiti) diventa soggettiva, interiore.

Non si possono cambiare le masse, questo sembra insegnarci la storia del XX secolo. Non si può neanche cambiare il singolo senza fargli il lavaggio del cervello, questo insegna la neuroscienza, ma una cosa si può tentare. Trasportare l’utente in un luogo che appartenga solo a lui stesso, nel momento in cui entra in contatto con un’opera d’arte: nel momento in cui il contatto avviene, l’opera si manifesta. Solo così si può tentare di risvegliare nuove potenzialità dell’animo umano, forse in parte ancora inespresse.

Ma com’è possibile? Chi si prende la responsabilità di un gesto simile? Chi può affermare con certezza “questo è il luogo della tua interiorità”? Di certo non l’artista egoico moderno, ma di sicuro nessun uomo in quanto tale è scevro dal sospetto di interesse. Per questo l’arte Sinestesica, per configurarsi come tale, insieme alla molteplicità degli artisti necessita di un altro criterio: l’impersonalità dell’opera, cioè della provocazione estetica. Che non sarà più un’invenzione dell’artista, bensì il chiaro riferimento ad un aspetto eterno dell’animo umano. Quali sono? Quelle che Platone chiamava idee immutabili e Jung chiamava archetipi, simboli eterni, universali presenti nell’inconscio collettivo. Anche il meme può appartenere a questa categoria, perché essa comprende i segni culturali, sebbene alcuni lo neghino e non senza argomenti. Spesso i meme sono i marchi culturali che ogni epoca ha attribuito agli archetipi. Altri invece sono nati per svolgere funzioni osnoblotiche (essendo anche l'osnoblosi in fondo un archetipo), o tramite queste sono fioriti. Intuitivamente sono i meno adatti alla Sinestesopera. L’invenzione dell’artista, o del provocatore estetico creatore dell’opera, semmai, sarà la modalità con cui questa si riferirà all’archetipo, il quale dev’essere rispettato nella sua purezza e non piegato a logiche o ideologie alcune. 

Lo spettatore sarà così isolato per un attimo dal fragore del mondo, dal collasso dei significanti, e portato in un’oasi di calma. E non sarà solo: ci sarà qualcuno con cui dovrà mettersi in rapporto. È quel “se stesso” che salta fuori solo in certi momenti, che aiutato dall’esperienza sinestetica sarà in grado di comunicare il proprio messaggio.

L’arte è tale se provoca le categorie estetiche della propria epoca, ma quale provocazione può essere maggiore dell’esplorazione di nuove forme insite nell’uomo? Inediti sensi sopiti da millenni, che forse in passato, chissà, erano ben diversamente attivi, sensi così incredibilmente importanti, così drammaticamente fondamentali nello sviluppo di quell’unico sistema così straordinariamente complesso che chiamiamo uomo, di cui forse abbiamo perso la memoria ma di cui conserviamo la coscienza.

Solo la sinestèsi permette all’uomo il vero vissuto formativo, quello che la neuroscienza indica registrarsi profondamente nell’ipotalamo. La ricerca dell’esperienza totale, ultimativa, che risvegli sensi e potenzialità nascoste da eoni, che dia finalmente un senso compiuto all’indecifrabile complessità del reale.

14 marzo 2012

Karl Popper

Ogniqualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere.

11 marzo 2012

Osnoblosi, Sinestesìa, Sinestetica e Sinestèsi

Si diceva che per avere sinestesìa, o esperienza sinestetica, dall’altra parte è necessaria un’arte multimediale. Ma già si è fatto cenno ai fenomeni osnoblotici che hanno come effetto la sostituzione dell’entertainment all’arte, ovvero porre una pseudo-arte creatrice di consenso al posto dell’Opera portatrice di destabilizzazione. Questo processo risultava relativamente più facile con le opere monosensoriali: sostituire Dostojewsky con un libro Harmony, soprattutto se opportunamente pubblicizzato, è operazione relativamente semplice. La sovraesposizione di componenti sentimentali, la già citata “pornografia femminile”, è sempre stata una trappola osnobloica, così come l’andare a sollecitare atiquifobie e apatepofobie all’unico scopo di inculcare poi tesi rassicuranti e decisamente interessate. Anche un testo di finto smascheramento come Il Codice da Vinci è operazione eminentemente osnoblotica, se non fosse che il suo stesso autore l’ha riconosciuto di puro intrattenimento. Forse non esiste nulla di più efficacemente osnoblotico delle opere di smascheramento ingannevole.
 
Gli altisonanti, anzi forse roboanti, proclami dell’arte multimediale cominciati dalle istallazioni degli anni 70, fino ad arrivare alle (ridicole) esperienze di cyber-sex dei 90, sembravano garantire da questo rischio: la multimedialità, essendo in grado di attivare una multisensorialità che certifica se stessa tramite la ridondanza sensoriale dell’informazione, avrebbe dovuto garantire da possibili manipolazioni ed inganni di stampo osnoblotico. Nulla di più falso: le carature intellettuali e gli stati di coscienza degli artisti egoici hanno portato tutta l’arte multimediale a livello di entertainment moderno, un vero e proprio carosello tecnologico, baraccone del divertimento dell’uomo contemporaneo, come lo stesso concetto di cyber-sex denuncia. L’accento stesso sulla multimedialità enfatizza il messaggio ma soprattutto l’emittente, l’artista dalla debordante e innovativa personalità, 
per quanto intellettualmente modesta, il già ricordato artista di tipo egoico. La realtà virtuale nella quale si trova lo spettatore moderno è una realtà prevista, preordinata, quando non imposta, e per questo obbligata. Ed i criteri per la sua scelta, per il suo successo, sono esclusivamente legati a promesse a sfondo ludico, quindi masturbatorio. Mai una vera domanda, mai un’interrogazione profonda, se non sulla correttezza della propria percezione, insomma l’unico effetto che tale arte sembra voler sortire è la “sorpresa”. Le installazioni esposte al Museo del 900 di Milano sono addirittura impietose in tal senso.

Consci di questo problema, negli ultimissimi tempi sono nati dei gruppi che, volendo preservare la purezza dell’opera da intenti mistificatori, hanno creato arte dichiaratamente ispirata alla sinestesìa, o arte sedicente sinestetica. Ma basta girare in rete per ritrovarvi in molti siti tutte le modalità egoiche ed interessate che hanno portato il mondo dell’arte allo stato attuale di sostanziale immobilismo ed inefficacia. Addirittura su Wikipedia c’è un articolo dal titolo “la cucina è un’arte sinestetica” che denuncia inequivocabilmente il tentativo della longa manus osnoblotica di impossessarsi anche di questo concetto.

Emerge quindi l’esigenza di un concetto nuovo, assolutamente altro, che qui definiamo Sinestèsi, per andare
-    Oltre alla sinestesia, mera esperienza multisensoriale, quando non disfunzione patologica
-    Oltre all’arte multimediale, ridotta a feticcio tecnologico masturbatorio
-    Oltre all’arte sedicente sinestetica, non dotata di statuto teorico sufficientemente forte da resistere alle odierne tentazioni osnoblotico-manipolatorie
-    Per una sinestetica come poetica di un’arte non influenzata da interessi sociali ed arrivismi egoici personali, ovvero finalmente in grado di risvegliare sensi latenti sepolti nell’uomo e definitivamente a lui connaturati.

Sinesthesys, da cui deriva Sinestèsi, significa “senza estetica”, come “senza tesi”, oppure ancora, utilizzando il suffisso “sys” come abbreviazione dell’inglese system, “senza sistema”.  Vuol’essere un’estetica, una sin-estetica e una poetica che garantisca un’arte nuova, ovvero in grado di  scatenare fenomeni di Mutantropia evolutiva, cioè di aumentare lo stato di coscienza del fruitore in modo impersonale perché affidato alle eterne verità con cui l’uomo è nato per misurarsi.


Sì, ma come?

6 marzo 2012

L'Arte e i Suoi Sensi

L’uomo vive immerso in un ambiente più che significante, addirittura ridondante, in cui un coacervo di segnali e simboli si intrecciano e si sovrappongono, affermandosi e negandosi, fino a sfiorare il cosiddetto collasso dei significanti. Per fare ordine i sensi compiono un’operazione di sincretismo, o forse più esattamente di sintesi, che permette alla coscienza di identificare come oggettivo un representamen semiotico definito univocamente per ridondanza di segni (se ho il dubbio di avere una pera davanti a me perché temo che gli occhi mi ingannino, posso sempre toccarla e/o annusarla).

Multisensorialità significa polisemia, ma messaggi diversi che impressionano sensi diversi possono arrivare a contraddirsi. Al fine di eliminare ogni tipo di ambiguità dalla sua comunicazione di informazione, l’uomo ha inventato codici referenziali, cioè riferiti ad un unico oggetto, e monosensoriali, che utilizzano cioè un solo senso. E questi sono tipicamente o la vista (parola scritta e simbolo grafico/visivo), o l’udito (parola parlata e simbolo sonoro). Per esempio se lo studente tradizionale passa ore sui libri consumandosi la vista, il cartello stradale “senso unico” in questo senso è addirittura sorprendente: su un solo canale, colpisce un solo senso, indica un solo inequivocabile messaggio, che contiene un’unica direzione. Eppure l’esperienza universitaria, eminentemente nel caso di una lezione, è un’esperienza sinestetica così come quella della guida su strada.

Fuori dalla referenzialità, ma sempre rimanendo nell’ambito culturale, troviamo l’arte e in parte anche certo artigianato, perché no?, nonostante sia strutturalmente inadatto ad essere polisemico. In Occidente i generi “nobili” dell’arte, pittura, scultura, poesia, musica e architettura, nel corso dei secoli hanno voluto specializzarsi in un proprio canale sensoriale precipuo. Questa specializzazione risulta forse meno sorprendente di quella sopra esposta riguardo il referenziale: l’impegno monosensoriale tipico dell’ascoltatore o dell’osservatore tradizionale permette quei momenti di vuoto, quella pausa dalla ridondanza che sola può favorire quel silenzio interiore così necessario alla riflessione e ad una corretta interiorizzazione dell’opera d’arte. Interiorizzazione che, per quanto l’opera sia monosensoriale, è comunque figlia di un’esperienza di tipo sinestetico: la lettura, ad esempio, rappresenta in sè un’attività “qualsiasi”, indifferente, al più interessante, a tratti noiosa, probabilmente presto dimenticata e rimossa; infatti è solo il riconoscersi nell’opera, è l’accettarne le strategie comunicative logiche ed emotive, quand’anche si trattasse di mero scritto, a renderla unica. Noi vi partecipiamo, ci riconosciamo, ne apprendiamo in modo indelebile grazie alla sequela delle emozioni, degli auto-riconoscimenti, dei sussulti, delle indignazioni e dei blocchi o sblocchi emotivi interiori, un’esperienza sinestetica alla massima potenza.

Laddove l’arte parla a più sensi, invece, come ad esempio per il teatro o il balletto o più recentemente il cinema, che comunicano con vista ed udito, essa è detta multimediale, cioè basata su più mezzi. L’esperienza di chi la vive è multisensoriale. Ma laddove i sensi si combinano a creare qualcosa di nuovo, di superiore alla somma delle singole componenti, allora si parla di vera esperienza sinestetica. Derivata dal greco συν (syn) “insieme” e αισθησίσ (aisthesis) “percezione”, la sinestesia come processo naturale standard è la capacità di vivere un’esperienza con più sensi contemporaneamente inferendone informazioni supplettive, mentre dal punto di vista psicologico è il sovrapporsi neurale anormale di due o più sensi che porta a percezioni inedite e difficilmente esprimibili.

Certo! innanzitutto l’esperienza più sinestetica che esista è quella della realtà, la quale è anche, per quanto forse in minima parte, un fenomeno culturale. Le “componenti culturali della realtà” sono quelle create dall’uomo in quanto essere pensante: gli scritti, i simboli umani, i manufatti, i gesti culturali (la differenza fra uno starnuto improvviso/incontrollabile e uno defluito nel fazzoletto). Queste componenti, a loro volta, possono essere categorizzate come idee (che a loro volta si dividono nei principi eterni di Platone e in quelli culturali detti meme), come segni (scritti e simboli che ad esse rimandano); o come materializzazione/manifestazione delle stesse nei manufatti, nelle ideologie, nelle culture e nelle società, comunque delle idee sempre simboli e ad esse riconducibili, perché ogni oggetto, segno o effetto culturale è sempre considerabile come simbolo della sua causa.

Si può quindi cominciare ad affermare che è possibile parlare di segno sinestetico in senso stretto ed appropriato solo laddove si considera la sfera culturale. Questa distinzione è necessaria poiché, essendo quella sinestetica un’esperienza, non esisterebbe attività umana di sorta che non si configurasse come sinestetica (da quella defecatoria a quella sessuale). In questo senso si definisce sinestetica strictu sensu, quindi, l’esperienza di chi viene stimolato culturalmente su più sensi.

Il problema è che, come s’è già visto, a un certo punto di questo processo s’inserisce l’Osnoblosi.