30 marzo 2013

Apateporia della Settimana: macerie di governo (ovvero del Mutantropo dimezzato)


Chi ci segue per certe ragioni probabilmente ci manderà al diavolo: un altro post politico, nonostante le nostre ripetute intenzioni contrarie. Ma poter parlare del segretario del Partito Democratico in questo frangente è occasione davvero troppo ghiotta, esemplare e in fondo di rilevanza più sociale che politica. E poi sarebbe anche giusto farlo se non altro per par condiscion, no? ;)

Perché ci rimase impressa la dichiarazione con cui, nel dicembre del 2011, Pierluigi Bersani motivò il suo beau geste, la sua intenzione di rinunciare alle elezioni anticipate, accettando anzi proprio appoggiando il governo tecnico, per "non governare sulle macerie". Sicuro in modo quasi borioso della sua vittoria, da un punto di vista miope aveva anche ragione: l'esborso elettorale sull'instabilità economica di quel periodo, con la nostra credibilità internazionale profondamente minata dalla flagranza dei danni berlusconiani, ci avrebbe portati sul lastrico.

Ma almeno eravamo più ricchi: oggi, dopo più di un anno di montismo, stiamo decisamente peggio. Ora alle macerie economiche si sommano quelle sociali e quelle "finanziarie", nel senso di fabbisogno finanziario personale delle famiglie. L'unica cifra che è andata bene è stata quella che interessa i principali acquirenti di debito pubblico, le banche, cioè lo spread, ma ora traballa anche quello. Nel frattempo, nel torbido ha rialzato la testa il suo solito sguazzatore, il Cavaliere (e chi altri?), mentre per l'inettitudine - perché questa ha dimostrato il governo tecnico, dalla Fornero a Terzi - sono emersi i più vari rottamatori, di partito (Renzi) o sedicenti estranei (Grillo), in grado di ridimensionare la boria del nostro a livelli imprevisti. Ed ecco l'Apateporia: non ci sono i numeri per formare un governo. 

Al "ragionevole" Pierluigi Bersani, con la sua bella immagine di "brav'uomo", "bravo politico", "bravo ministro" sotto il governo Prodi, comunque uomo di apparato e di partito, anzi sempre di più, non è riuscito il mutamento a vero uomo di potere. O gli è riuscito solo fino a un certo punto, all'interno dell'apparato stesso, dove ha condotto anche una battaglia di democrazia (le primarie), ma è come se l'ego avesse sporcato tutto col suo interesse, la ricerca di potere avvertita come destino ineluttabile e meritato. 

Oggi, anche se l'avesse questo potere, governerebbe comunque su macerie peggiori di quelle di allora. Ma il buffo è che non ce l'ha e persino Napolitano ha dichiarato il bisogno di una pausa di riflessione. Strano, perché il suo tentativo di apparire serio e pulito rispetto all'avversario a tutti ormai noto era sincero. Ma, nel regno dell'autoaffermazione, al re degli egonanisti non glie la fai. Tanto più che ne è emerso un altro, a spese di entrambi ma soprattutto sue, che in quanto a ego è meglio lasciarlo perdere. Insomma Berlusconi è più "puro", quindi più efficiente, nel suo far leva sui bassi istinti egoisti di ignoranti e opportunisti, così come Grillo lo è sull'indignazione e le componenti emotive, di pancia.

Ciò che vorremmo dire è che non è stato il voler dimostrare un pelo di etica la causa della sua debacle. No, forse non ancora debacle, per ora chiamiamola col suo nome: apateporia. È stato il voler essere mutantropo in modo egotico in un'arena di potere, quindi di ego, contro due più esperti di lui. Il suo beau geste è stato nella migliore delle ipotesi ingenuo, nella peggiore osnoblotico, perché sporcato (guarda caso, l'avreste detto mai?;) da egonanismo, motivato sopra, e conformismo, cioè volontà di non dispiacere ai moderati e alla classe media in genere (la separazione con Di Pietro, il quasi-silenzio di Vendola, ecc ecc). 

La sua triste parabola politica sembra insegnarci che la via dell'eumutantropo non è facile, innanzitutto perché difficilmente è pura, cioè veramente, profondamente (e non ipocritamente, opportunisticamente) scevra da egonanismo e conformismo. In ogni caso ci insegna che la sua via non ha successo in politica, agone dialettico egotico-emotivo per eccellenza. Ecco un'altra ragione per cui essa ci disgusta, ovvero ci interessa solo per i tanti esempi negativi che può fornirci.

Buona Pasqua di resurrezione, che è rinnovamento, Italia! ;)

15 marzo 2013

Sinestesi e Verità


Anziché farci vivere tranquilli la nostra esistenza, due strani personaggi, tali Esthetron e Psichiro (a proposito, nick notevoli), ci chiedono delucidazioni sul concetto di verità. 
Bene, chiariamolo subito però: noi non siamo in grado di dare alcuna risposta soddisfacente. Come Socrate sappiamo solo di non sapere come tutto veramente accade e si concatena. Semplicemente ne scorgiamo una parte. Quella parte che il nostro stato di coscienza è in grado di focalizzare.

Va bene, necessaria modestia a parte... Come ben sa chi ci segue, lo studio della verità, cioè l'epistemologia o la gnoseologia, secondo noi deve mutuare le proprie categorie dalla fisica quantistica. Posizione che, filosoficamente parlando, fa di noi dei cosiddetti corrispondentisti. Ovvero per noi "un'affermazione è vera solo quando esprime degli stati di cose presenti nel mondo", o anche assenti ma comunque possibili. Che riflette il postulato quantistico secondo il quale l'elettrone è presente in tutti i luoghi ove potrebbe essere, divenendo "presente" in più piani spaziali ed escludendo quindi l'impossibilità.  Dopotutto anche gli antichi greci chiamavano la verità ἀλήθεια, alétheia, ovvero "non nascondimento", in termini moderni "non impossibilità".

Insomma la nostra posizione si può definire corrispondentista quantistica o possibilista, perché per noi è "vero" ciò che si verifica o che anche potrebbe verificarsi ma ancora non l'ha fatto. Ciò ovviamente non significa che Auschwitz non è esistito solo perché "è possibile" che non sia esistito. Una delle conseguenze logiche di un simile approccio ontologico è che quella particolare verità chiamata evidenza, quando appunto non si tratta di illusione, sia innegabile. Piuttosto che negare la realtà in nome di astratte teorie possibiliste, quindi revisioniste, l'uomo dovrebbe imparare ad assumersene la responsabilità.

Stesso discorso per chi nasconde un oggetto in una mano: può essere in ognuna delle due, qual è la verità? L'evidenza nega la possibilità e cristallizza una verità unica, evidenza per colui che nasconde l'oggetto, è ovvio. Anche questo aspetto corrisponde alla sconcertante deduzione quantistica che vuole che sia l'osservatore a fissare la posizione dell'elettrone, ovvero che la realtà osservata e l'osservatore, l'oggettivo e il soggettivo, siano in corrispondenza biunivoca. In mancanza della "fotografia" scattata da un osservatore in un preciso istante spazio-temporale, l'elettrone è ovunque possa essere e in effetti così è, almeno in una prospettiva diacronica. Ciò che non è impossibile è obbligatorio.

Tre sono le critiche principali a questo tipo di approccio: che fare al mutare delle condizioni, cioè basta questo a mutare la verità? E ciò che nemmeno sospettiamo esista è vero/possibile o no? C'è poi il discorso del rapporto con le 3 verità razionali, come giustamente ci ha ricordato Psichiro, ovvero l'ideologica, la dogmatica e la scientifica. 
Ma analizziamo i tre punti separatamente.

1) ebbene sì, lo ammettiamo, al cambiare delle condizioni cambia l'evidenza, la possibilità... ma non la verità. Il fatto che io non possa vivere nel cosmo per mancanza d'ossigeno, temperatura accettabile o pressione atmosferica minima, non significa per questo che io non sia vivo o non possa esserlo a determinate condizioni. Secondo noi questo range di possibilità che si sostituiscono a una verità evidente o anche solo immaginabile ha una potenzialità teoretica che è difficilmente esprimibile. Al limite è la variabile cronologica a interessarci: è vero che c'è vita su Marte? Se le condizioni lo permettono, sì, potrebbe esserci stata, potrebbe essere e/o potrà esserci in tempi passati o futuri.

2) il bello di un concetto di verità così espresso è che questo non dipende dalle nostre conoscenze. Cioè, sarebbe comunque delirante stabilire che NOI si possa dire una parola assoluta e definitiva su ciò che è vero e cosa no. Insomma è poco importante il fatto che noi sospettiamo che una cosa esista o sia vera, il suo status di veridicità è assolutamente indipendente. Che lo sospettiamo o meno, essa è possibile? Se sì è anche vera, punto. Ed è proprio qui che la Sinestesi svolge il suo compito...

3) sulle tre verità razionali, nel senso di comunicabili, il discorso si fa più articolato e complesso. Ma si può riassumere così: quella dogmatica e quella ideologica non sono verità, bensì al limite affermazioni, asserzioni, convincimenti. Credo dogmaticamente che la mia anima andrà in paradiso? Penso ideologicamente che la dittatura del proletariato migliorerà il mondo? Sono pensieri, non verità. Saranno gli eventi a dimostrarne lo stato, mutandole quindi in "verità scientifiche", ovverosia provate. Perché è vero ciò che succede nei fatti, non ciò di cui si ha convinzione, soprattutto laddove, come nel secondo caso, la storia ha già espresso un giudizio inappellabile.

Quindi, al contrario delle altre due, quella scientifica è verità, ma purtroppo normalmente parziale e insufficiente (non scordiamoci che ogni scoperta scientifica tende a negarne una precedente). Questo perché la chiusura mentale dei nostri scienziati, i limiti spesso tanto necessari quanto soffocanti che l'accademia si impone, le mille difficili condizioni necessarie a un esperimento ripetibile, rendono veramente angusto il margine di manovra di questo tipo di verità. La ricerca scientifica per sua natura tende a non accettare le devianze (ecco un altro argomento a favore del post precedente), un esperimento cioè deve dare un risultato il più univoco possibile, non aprirsi a un range di indefinite possibilità. Per noi invece è proprio in questo che risiede la verità ricercata: è vero ciò che è possibile. È quindi una determinazione quantitativa, non qualitativa: una cosa è vera anche se ha una possibilità su un miliardesimo, o di un trilionesimo. Fino a prova contraria.

La legge che governa il mondo a noi conosciuto è l'entropia, noi crediamo che tutto sia un costante e progressivo divenire di infinite possibilità che si manifestano su spazi diversi.

Ne approfittiamo quindi per introdurre un'altra condizione necessaria a identificare ciò che è Sinestesi: è importantissimo che essa apra a indefinite possibilità. Non deve mai imboccare un percorso chiuso a priori, univoco o dalle possibilità ridotte (per quanto plurali, cioè semplicemente superiori a 1), ma aprire a un mondo virtualmente indefinito, almeno in linea di principio, o definito a seconda delle condizioni insite nell'archetipo evocato. Una Sinestesopera basata sugli archetipi dei Tarocchi, ad esempio, potrà contare su 22 arcani maggiori e 56 arcani minori, ovvero 78 segni che potranno essere elevati alla potenza delle combinazioni permesse dall'opera stessa. Sarà ciò che questo mondo chiama casualità, e noi definiamo con Jung sincronicità, a determinare quale combinazione toccherà al fruitore in connessione alle proprie cause karmiche, alle energie cosmiche, alle congiunzioni astrali del momento e al suo stato di coscienza di osservatore privilegiato.

Definire, etichettare, fotografare il reale, nei suoi molteplici e sfuggenti aspetti, diciamolo, è cosa impossibile. Non esiste foto o videocamera in grado di rappresentare il fittissimo reticolato di energie, aspetti e cause karmiche presenti in ogni istante in qualunque situazione spazio-temporale. Per questo la Sinestesi si fa specchio simbolico rivelando dimensioni invisibili, impreviste e fors'anche insospettabili. In grado cioè di avvicinare il fruitore, almeno in parte, a ciò che sappiamo essere verità. Una verità non comunicabile in modi razionali, quindi non dogmatica, ideologica o scientifica, ma nondimeno verità. Anzi, verità a maggior ragione!

Altrimenti come si potrebbe scegliere il proprio mutantropo a ragion veduta? ;)

3 marzo 2013

Mutantropia e Devianza Sociale


Ci chiede Vito di parlare di un argomento estremamente interessante, ovvero lo sfruttamento che un non meglio definito "sistema" eserciterebbe nei confronti dei mutantropi. Verrebbe da chiedersi quali, dal momento che fra i commenti al post si parlava di devianza sociale e comunque la mutantropia è pratica molto diffusa fra gli esseri umani. A meno che non si supponga che il "sistema" sfrutti tutte le categorie, mutantropi, devianti e immobilisti compresi. In effetti le cose stanno proprio così: il sistema sociale, per la sua sussistenza, ha bisogno del supporto di tutti i suoi membri, che tendono a dividersi in sfruttatori, sfruttati e outsider. È anche vero però che così si rischia di generalizzare su fattispecie molto diverse fra loro, soprattutto per quanto riguarda i rapporti fra mutantropia e devianza. 

Cominciamo affermando che le due categorie sono assolutamente indipendenti: i devianti non sono necessariamente mutantropi come i mutantropi solo in pochi casi sono devianti. Quali? Il dizionario della lingua italiana definisce la devianza come il "comportamento proprio di chi rifiuta le norme e le consuetudini comunemente accettate". In quest'accezione, ne distinguiamo tre categorie: 
- d. di origine genetico-fisica: handicap, mutazioni o deformazioni fisiche, a cui seguono emarginazione e rifiuto delle comuni norme sociali
- d. da disagio psichico: sensibilità esasperata, malattia mentale, uso di droghe, che portano ad ignorare (più che ad allontanarsi da) le suddette norme 
- d. autoindotta: o mutantropica, quasi mai evolutiva, come avviene nelle società oppressive-oscurantiste, mentre nelle moderne libertarie è quasi sempre egotica e/o osnoblotica, spesso le due facce della stessa medaglia 

Nella realtà dei fatti i tre tipi di devianza non si escludono, è infatti esperienza comune vederne determinati aspetti, in misura maggiore o minore, presenti nello stesso soggetto. Un esempio archetipico potrebbe essere il ragazzino con difetti logopedici (origine fisica), che per disagio diventa fumatore di hashish (aggiungendo disagio psichico), per poi fare l'alternativo in un centro sociale o diventare un cosiddetto punkabbestia (gesti mutantropici). Tale sovrapposizione avviene anche perché le tre categorie non sono perfettamente omogenee, poiché le prime due si distinguono solo per la causa scatenante, diversa ma di un fenomeno comune: il disagio nei confronti delle norme sociali vissute come imposte e ingiuste, ovvero come "colpevoli", responsabili "esterne" del disagio stesso. Insomma si tratterebbe di una devianza eterodotta, al contrario del terzo tipo, quella mutantropica, come tale autoindotta (ricordiamo che è mutantropico quel cambiamento volontario percepito come portatore di vantaggio). Dal nostro punto di vista, quindi, distinguiamo solo due tipi di devianza: quella eterodotta e quella autoindotta, o mutantropica. 

Nella gran maggior parte dei casi si tratta di mutantropia egotica: il soggetto in questione si decide all'atto mutantropico per errata o esagerata percezione del proprio io (percezione che potrebbe anche avere cause eterodotte, tipicamente dalle correnti di pensiero che invitano ad "apprezzare" se stessi). Se il gesto mutantropico-egotico è conformista si ha mutantropia del primo tipo, o osnoblotico-borghese, mentre se esso è solo egotico possono arrivare a presentarsi casi di devianza: attori, rockstar, giornalisti o vip dagli atteggiamenti bizzarri e dalle opinioni "forti" o antisociali. Ovviamente la società nel suo complesso, il cosiddetto "sistema" (per usare il termine di Vito), a seconda della cultura condivisa fra i suoi membri, più o meno progressista ovvero più o meno all'insegna di una certa apertura mentale, deve venire a patti con tali personalità, che hanno la tendenza a minarne i valori ed esercitare un certo influenzamento specie sui giovani. In Iran, ad esempio, simili personaggi vengono condannati a morte, mentre nei sistemi capitalisti moderni la tendenza è quella di tollerarli finché vengono percepiti come utili, ovvero portatori di denaro. Questo perché tale sistema incoraggia qualunque manifestazione della personalità, anche quelle più estreme, finché questa si rivela fonte di reddito, in mancanza del quale la personalità verrebbe immediatamente sanzionata, o confinata nelle istituzioni totali ad essa deputate: case di cura, ospedali psichiatrici, carcere.

Non è sempre stato così per tutte le "manifestazioni di personalità deviante". Celebre la reazione che la società americana ebbe nei confronti delle star del rock'n'roll alla fine degli anni 50, quando queste furono boicottate dall'industria discografica, vessate senza pietà dal fisco, costrette ad espatriare e anche vittime di incidenti misteriosi, quando non delle loro stesse abitudini diciamo poco salubri. In seguito, grazie all'incredibile successo che il genere musicale, rielaborato come beat, conosceva dall'altra parte dell'Atlantico, la stessa America si decise a tollerarle, anche perché non così diverse dai più conosciuti attori, showman o altre personalità dello spettacolo e dell'imprenditoria. Nondimeno ogni sistema di potere in linea di principio non tollera il deviante. Costui mina i suoi stessi presupposti, ovvero il controllo sociale - leggi osnoblosi - costringendolo a moltiplicare gli sforzi - leggi spese - per mantenerli validi. Ecco perché di finta tolleranza si tratta, ipocrita e osnoblotica, che si regge in piedi solo se motivata da lauti guadagni, valore assoluto e indiscutibile in regime capitalista, che nel suo nome arriva a comprendere anche forme veniali di quella particolare devianza che è la criminalità (si veda il caso italiano di Berlusconi).  

Quali sono però i limiti di tale ipocrisia? Beh, uno si è già visto: la redditività del mutantropo deviante. L'altro è la misura della sua devianza: atteggiamenti fortemente criminali, che rechino pericolo o danno a membri della collettività o fortemente sovversivi, tendono ad essere immediatamente sanzionati. L'ego fuori controllo è un pessimo esempio che non viene perdonato (a meno che non riguardi il potere, è ovvio), ma solo tollerato finché si mantiene entro i limiti non scritti e sempre mutevoli della morale corrente, degli usi e dei costumi imposti. Certo, perché è capitato spesso che devianti del passato, che in vita hanno subito ogni angheria, vengano indicati post mortem come esempi e/o pietre miliari dell'evoluzione morale della società (vedasi Oscar Wilde, deviante eterodotto da una società oscurantista, per sensibilità estrema unita a intelligenza fuori dal comune).

Quando il personaggio di successo, più o meno mutantropo e più o meno deviante, commette un'infrazione giudicata grave a uno dei limiti sopraesposti, cioè cade in disgrazia o il suo ego fuori controllo indugia in atteggiamenti antisociali, se non è più utile al potere subisce il fenomeno del sacrificio, in una delle seguenti forme: diffamazione mediatica, mobbing fra pari (fino all'uscita di scena), imprigionamento in istituzione totale, avvelenamento da alcool e droghe che sfocia nella seminfermità mentale, quando non nella morte fisica più o meno indotta. Insomma l'eliminazione sociale della devianza o fisica del deviante.

Il sistema appena descritto è tanto allucinante per noi quanto normale per la percezione comune. Ad esso contrapponiamo l'universo di valori della Sinestesi, che non permette e/o non premia atteggiamenti egotici. L'artista egotico tipico della modernità semplicemente non fa Sinestesi, ne è escluso per sua stessa natura, poiché solo chi ha raggiunto un certo stato di coscienza ne condivide modi e fini. Nondimeno tale estetica è utilissima per ogni tipo di egonanista se accetta di farsi fruitore, perché viene messo in contatto con gli insospettabili universi che uno stato di coscienza amplificato dalla Sinestesopera può dare.

Come si consigliava, assolutamente inascoltati, all'uomo Roberto Formigoni (nel frattempo sprofondato in ulteriori abissi di ridicolo e abiezione), di certo una Sinestesopera favorirebbe quel processo mutantrogenico di cui tanto avrebbe bisogno... umanamente parlando. Socialmente, invece, il deviante in quanto criminale veniale (ma bada bene: non mutantropo!) Roberto Formigoni ha rinforzato la propria posizione di potere niente di meno che in seno al Senato della Repubblica. 
Grazie Italia! uno così non lo si sacrifica, eh? :)