11 agosto 2018

The Young Pope, o dell'inutile banalità del bene


Ovvero: il cinema come catarsi dell'ego.


Da buoni ultimi ci mettiamo anche noi a parlare di The Young Pope, la tanto discussa serie televisiva di Paolo Sorrentino, regista e autore che più volte ha risvegliato il nostro interesse. Certo, non tutto il suo cinema ci convince: troppi i dialoghi stranianti (persone che si parlano con aria sospesa e guardando altrove), troppi i ritmi lenti e autocompiaciuti, troppi i momenti di esaltazione adolescenziale, ma con essi anche tanta profondità e coraggio autoriale, cosa ormai scomparsa in questi tempi di pavido conformismo. E ne parliamo per dire un concetto fondamentale: tanto rumore per poco o nulla. Ma vogliamo essere molto chiari! (cit. ;) l'opera in questione è tutt'altro che mal riuscita o trascurabile, dotata com'è di interessantissimi spunti di riflessione. Purtroppo però, come avemmo modo di dire per Il Dottor Parnassus dell'una volta grande Terry Glliam, non bisognerebbe mai parlare di argomenti che esondano le proprie capacità intellettuali o anche solo il proprio campo di esperienza. Si rischia di risvegliare inutilmente giganti fuori portata o, addirittura, svilire concetti degni di miglior sorte.

Ma... come ormai è nostra abitudine di excusatio non petita, giustifichiamoci: perché parliamo di quest'opera bisensoriale (vista e udito) a puntate? Sostanzialmente per tre ragioni:
- è un'occasione più unica che rara di fiction televisiva nazionale con una produzione di alto standard internazionale
- parla di un una personalità a dir poco problematica che va incontro a un processo mutantropico per "sinestesia"
- parla potenzialmente di materie spirituali, e nell'intenzione degli autori anche praticamente, lo vedremo
Eppure... qualcosa non va come avrebbe potuto. Ma andiamo con ordine.

1) Superproduzione di alto standard: insomma finalmente il mezzo bisensoriale per eccellenza, quello televisivo (dopo quelli teatrale e cinematografico e prima di quello telematico), viene messo al servizio di una storia di evoluzione umana, quindi Mutantropico-evolutiva, e apparentemente per vie quantomeno sinestetiche, vista la peculiarità dell'esperienza narrata: uomo problematico e tabagista in sinestesia vaticana. Finalmente si mettono in gioco etica, conversione, illuminazione, estasi, insomma le vie dello Spirito (nella sua prima omelia il protagonista ebbe a dire: "tutti noi siamo soli davanti a Dio, non vi indicheremo nessuna strada, cercatela voi, trovatela!"), e finalmente liberi da fiction su carabinieri e guardapesca. Eccellente il cast, bravo (come sempre) ma sottoutilizzato Stefano Accorsi, incontenibile Silvio Orlando, un superbo segretario di stato vaticano ben oltre la macchietta che è stato accusato di essere, stupefacente e diabolico il mattatore (oltre che occasionale co-produttore) Jude Law nella straordinaria interpretazione di Lenny (un omaggio al leader dei Motorhead, c'era bisogno di dirlo?) Belardo, ovvero Pio XIII, un giovane papa che si pone all'opposto dell'attuale Francesco, o forse più esattamente di Giovanni Paolo II. Tanto questo era innovatore, sorridente e aperto, quanto lui, papa di diversi anni più giovane, è conservatore, sprezzante e chiuso fino alla paranoia.
È poi sopraffina la ricerca musicale con prelibatezze elettroniche, quando non chicche rinomate nell'underground (I Can't Escape Myself dei mitici Sound) o magari sconosciute nonostante l'indiscusso valore (Senza un Perché della stupefacente Nada). E infine, sempre finalmente, vediamo la volontà - oltre che la capacità intellettuale - non solo di stupire (scopo in sé osnoblotico, ricordiamolo) ma anche di mettere in discussione l'istituzione pontificia senza tuttavia mancarle di rispetto. Anche, come dire? con argomentazioni chiare, condivisibili, legate ai più elementari diritti umani.

2) Una personalità a dir poco problematica in mutamento: più esattamente un nevrotico schizoide ed egopatico, ovviamente conservatore al parossismo, iracondo e pure tabagista, tematica che sin da This Must Be the Place Sorrentino connette al processo di crescita. L'atteggiamento schizofrenico dapprincipio urta un po' i nervi, poi ci si rende conto che fa parte della "complessità del personaggio". Come lui stesso ammette egli è duplice, molteplice, contraddittorio "come Dio uno e trino, come la Madonna vergine e madre, come l'uomo buono e cattivo". Santo ed empio allo stesso tempo, insomma, nondimeno questa "complessità" suona in qualche modo falsa e fine a se stessa: il protagonista fatica ad accettare l'inevitabile. È Mutantropo, sì, ma passando per il dolore e il sangue (altrui ovviamente) comunque compie un processo molto parziale e non manca una gaffe degna di un Asperger all'ultima puntata. Ci si chiede però come abbia fatto fino a quel momento nella vita normale, già di per sé più che sufficientemente "sinestetica". Un matto che viene assalito da egopatia dittatoriale di colpo solo con l'ascensione al soglio pontificio, vista soprattutto l'autoconsapevolezza di bellezza e fascino della sua persona, sembra davvero poco credibile. Gli autori provano a giustificare questa stranezza con l'astio che proverebbe un bambino incomprensibilmente (per lui) abbandonato dai genitori, ma davvero non si comprende come ciò possa costituire causa scatenante di follia (certo, di egopatia sì) a prescindere dal salire il soglio. Inoltre, grazie all'abile regia di Sorrentino, viene sottolineta la portata sinestetica di una vita in Vaticano, secondo le parole di suor Mary (madre surrogata) "città-stato piena di anime perdute che non hanno mai vissuto" (acc, alla faccia della sinestesia!), esperienze si suppone connotate di Sacro, eppure nn ci risulta che quei luoghi abbiano potuto porre freno alle follie egopatiche di tanti, troppi, detentori del titolo più alto della chiesa sedicente cristiana e "universale" (katholikòs), fatte ovvimente salve le meritevoli eccezioni.

3) Materie (solo) potenzialmente spirituali: forse il punto per noi più fallimentare del progetto, a parte la morale intrinseca cui accenneremo dopo. In questa lunga serie (10 ore!!!) si parla di conversioni, illuminazioni, contatti con il sacro, oltre che di intensa preghiera, ma nei fatti trasudano ben poche verità spirituali, oseremmo dire quasi nessuna. L'anziano - diremmo decrepito - card. Caltanissetta che si chiede "la domanda oggi non è se Dio esista, ma perché dipendiamo da lui" può bastare? Certo che no. Però verità dottrinali ne sentiamo diverse e ne ringraziamo il prof. Melloni che avemmo modo di apprezzare al festival Sublimar di Milano, qui consulente alla sceneggiatura, chiedendoci al contempo se si sia contento di ciò che ha fatto. Una di queste, forse meno discutibile di altre, è la preghiera, o almeno la sua modalità, che per il nostro dev'essere in latino. Ma quando esige che essa si avveri allora la declama in italiano, infervorandosi fino all'indignazione ed arrivando ad esigere alla divinità (dall'Altissimo fino alla Beata Vergine) con un'insistenza aggressiva, un'autoritarismo oseremmo dire padronale, come con una serva o poco ci manca. Con questo simpatico ed evidentemente efficientissimo artifizio diviene papa, ponendosi all'opposto dello schivo protagonista del capolavoro Habemus Papam di Moretti. Ecco che la preghera si avvera, avviene il miracolo, il Papa è santo! 

No, giusto per dire qual è il livello... 

Certo, in compenso emergono verità psicologiche, ma forse spicciole e un po' scontate: il senso di rivalsa dell'infante abbandonato, i genitori surrogati, ovvero prima la madre (la già citata suor Mary) e poi il padre (il card. Spencer, che lo accusa di volere da lui solo l'approvazione dei suoi errori, come ogni figlio chiede a suo padre), infine il "pari" Gutierrez, quando Lenny diventa padre - anche lui, manco a dirlo, simbolico ovvero surrogato - del piccolo Pio, "figlio" della sua preghiera perentoria. Bellissimo il dialogo con l'amico d'infanzia Dussolier: "Lenny, quando crescerai?", e lui "mai, perché noi preti non possiamo diventare padri (falso! il prete fa voto di celibato, non di castità, ma va beh...) e questo ci condanna a rimanere per sempre figli". Per il resto, nel nome della sua oramai sdoganata "compelssità", lui si comporta da perfetto cattolico peccando in modo smodato e pentendosi disperatamente a rotazione, alternando trasgressione e confessione, addirittura ateismo (o almeno agnosticismo) e fervente misticismo. Vista da altri punti di vista, in un nostro post avemmo modo di chiamare un simile fenomeno dinamica mutantroposnoblotica, e in quest'opera i "vantaggi dell'egonanismo" certo non mancano, anzi.

Insomma, in una fantasmagorica sequenza di immagini come giustamente solo lui sa fare, Sorrentino suscita in noi dapprima i più importanti enigmi esistenziali, questioni di coscienza assai raramente affrontate nella ficion seriale ad alto consumo: cosa succede se si scontra l'ego con Dio? Ha senso ribellarsi all'Altissimo o alla sua Via (o Tao), arrivando a sfidarlo a voce alta, certi di non fare la fine di Lucifero? Il dominio spietato ed esclusivamente utilitarista dell'uomo sull'uomo (oltre che su simboli sacri o di potenza che lo circondano) ha conseguenze? La chiesa ha davvero il diritto di chiudersi e mostrare ostilità al mondo, e così il suo più alto grado di rinunciare al ruolo di "pontifex", o costruttore di ponti col Sacro? E, ultimo ma non da meno, come cambia la personalità di fronte ad apateporie devastanti e responsabilità ingestibili? C'è di tutto: la coscienza-ego, la sacra dottrina, l'influenzamento spirituale (forse addirittura iniziatico?), l'etica sulla via del Karma, la Mutantropia. Ci sono addirittura le apateporie, segnatamente nelle puntate 6 e 7, che guarda caso innescano il processo mutantropico (ma va? chi l'avrebbe mai detto?) però, proseguendo, il buon Sorrentino non sembra all'altezza della sua provocazione. La Chiesa stessa come istituzione, come ha giustamente fatto notare persino l'Osservatore Romano, non viene mai messa in discussione. Cosa forse anche giusta, ma c'è differenza fra consapevolezza di una necessità socio-antropologica e giustificazione dei misfatti della medesima (per carità, esclusa la pedofilia, tema fondamentale delle ultime due puntate ma secondo noi usato in modo più emotivo/strumentale che profondo). I progressi del nostro eroe sono errabondi e incerti, con molto dolore e molti passi falsi e poche ancorché semplici e banali prese di coscienza, cosa anch'essa in sé giusta, ma c'è differenza fra seria dedizione ad acquisire stati superiori di coscienza e occasionale passeggiata nella consapevolezza data dal dolore provocato da una cavolata (segnatamente due morti accidentali e una - suor Antonia - addirittura provocata con la preghiera, per tacere di ciò che è avvenuto al "mistico" pecoraio Tonino Pettola).

Il tutto per cosa? Lungi dall'essere diventato un Metantropo, il "santo" incarnato, santo per via dei due miracoli imperiosi, ha raggiunto la coscienza più o meno della brava persona (del rapporto fra banalità e sorriso si espresse bene il card. Aguirre, piacere di Dio ;) capace addirittura di stati di (normalissima) empatia col suo prossimo. Un absurdum, la normale evoluzione umana di ogni adolescente bizzoso e nella norma senza essere responsabili della morte di alcuno, al limite di qualche dolore. No, potreste obiettare, è importante anzi fondamentale il potere! Secondo noi no, ma quand'anche fosse e visto che, come abbiamo dimostrato, Dio non c'entra più gran che, allora sarebbe stata sufficiente la storia di un Kim Jong-un qualsiasi, di un dittatorucolo più o meno giovanile dei tanti luoghi di dolore del mondo, senza bisogno di scomodare santi e madonne. Secondo noi in quest'opera il "potere" è solo disponibilità di mezzi dell'adolescente bizzoso, e ogni adolescente in fondo ha i suoi, insomma il livello geopolitico è estraneo a quest'opera o almeno alla sua comprensione o giustificazione. Oppure si potrebbe obiettare che noi non capiamo lo status tragico di un Mutantropo mancato, ma il film alla fine non riesce nemmeno ad essere questo o lo è in modo piuttosto superficiale. Al di là delle possibilità che dava l'ambiente, ignorate o banalizzate quando non minimizzate/svilite (sembrerebbe non comprese), alla fine un pazzoide non è un uomo nel pieno delle sue facoltà mentali, quindi moralmente giudicabile, bensì un essere in qualche modo deresponsabilizzato, devastato dai suoi dolori. Insomma un uomo che arriva a ciò che arriva, nn si può pretendere troppo, e ciò inevitabilmente smorza il valore mutantropico delle sue piccole scelte, così come il suo autoritarismo folle sfuma quello drammatico di vittima.

Ma ciò che secondo noi è peggio è che insieme alla deriva spirituale il film ne prende una anche ideologica e davvero non riusciamo a capire quanto di questo l'autore ne sia cosciente. Cioè, certamente sì, nn pensiamo sia uno stupido, ma nn sappiamo quanto lo condivida o quanto vi ci sia stato costretto dalla produzione. Infatti il nostro eroe, che dovrebbe creare straniamento ma in realtà affascina, dopo aver "umiliato" il buon Stefano Accorsi al suo cameo come primo ministro della Repubblica Italiana di tipo renziano, ed essersene vantato, nota con piacere come sia riuscito ad arrestare o perlomeno a frenare l'iter parlamentare di certa normativa "progressista". Fra questa mette aborto, divorzio ed unioni di fatto, diritti inalienabili della persona. Il punto non è che un cattivo gioisca di una vittoria turpe, in effetti sarebbe coerentissimo col personaggio, ma è il fatto che tutti si complimentino e si congratulino con lui, anche persone appartentemente dalle posizioni ideologiche opposte, sembra quindi anche l'autore con loro.

Ecco quindi il senso della nostra critica, di un film tuttavia brillante, dagli spunti interessantissimi, fatto con intelligenza, maestria e abbondanza di mezzi. Ma sostanzialmente un'occasione persa. Un'occasione di dire finalmente la verità, non tanto sulla corrottissima istituzione Vaticano (cosa fors'anche troppo facile, comunque già egregiamente fatta da altri, in ogni caso distraente rispetto a quello che avrebbe potuto e dovuto essere il tema dell'opera), quanto sulle necessità, sulle possibilità ma anche sulle trappole che si nascondono dietro un cambiamento guidato da uno stato di coscienza a sua volta influenzato da simboli sacri. Insomma una sorta di Sinestesi nei fatti, cosa che alla fine può essere un cammino spirituale: le sfide che comporta, le profonde messe in discussione di sé, i relativi stati di coscienza, specie se alle prese con problemi di ego, tema tanto caro al film e al cinema di Sorrentino in genere. Perché, per citare il padre surrogato (e freudianamente morituro) Spencer, "il Mistero è una cosa seria, non certo una misera strategia di marketing!". Ci si accontenta però di una soap opera che indigna e diverte, spesso sorprende (più spesso, ahinoi, annoia), ipnotizzati dalla bellezza apollinea di Jude Law e da suo sorriso mefistofelico, che un po' scandalizza ma senza graffiare e un po' intrattiene dando da pensare, con poche "frasi sagge" tratte dalla letteratura dottrinale (segnatamente S. Agostino, e OVVIAMENTE nulla di non accettato da Santa Madre Chiesa come ad es il Tao-Te-King o, eresia!, i Vangeli Gnostici), buttate a occasionale coriandolo sul disorientato spettatore. Che al IX episodio svacca completamente in un sentimentalismo stucchevole, una sorta di apologia del volemose bbene, e infine si risolve con una tesi "positiva" tra il banale e il deludente (il "sorridete sempre") e una serie di negative (l'omosessualità è aberrazione, le coppie di fatto un male da evitare ad ogni costo, l'aborto un omicidio da anatema ecc) che, per quanto sommariamente finiscano per esser messe in luce negativa o perlomeno dubbia, nel frattempo lasciano interdetti.

Al confine fra arte e osnoblosi si muove l'ambiguo Sorrentino. Ma alla fine l'abbiamo capito: è lui l'adolescente bizzoso, perché è lui ad essere interessato al Mistero dello Spirito senza mai comprenderlo. E come in This Must Be the Place fa fumare l'immaturo che anela allo status di adulto, ma la banalità della sua parabola di vita porta all'estremo ripudio degli anziani genitori fricchettoni. E come in La Grande Bellezza vede nella spiritualità una mostruosità sostanzialmente estranea a sé, quindi perlomeno cinematograficamente incapace di salvare chicchessia. Ma allora... perché 10 ore di catarsi dell'ego? Non sa forse che un bel tacer non fu mai scritto, e forse neppure filmato (ma non possiamo esserne sicuri)?