29 novembre 2022

Cristina Scuccia e la scelta metantropica, ovvero del dilemma "Symbolum versus diabolum"



Scusate il disturbo, ormai Technesya è un progetto in somnium, ma l'occasione era troppo ghiotta!

Quando certa Suor Cristina nel 2014 decise di rompere gli zebedei a mezzo mondo con le sue canzoni, ne Il Diavolo e l'Acqua Sporca dicemmo: "Resta una speranza, intrinseca nel processo mutantropico, soprattutto se avviene ad un livello di sinestesia che comprende immagine, voce, movimento, messaggio religioso, coinvolgimento emotivo e successo nazionale improvviso: la speranza in un'incredibile e sconcertante apateporia. Insomma che in qualche modo Cristina si renda conto dell'ingestibile meschinità dell'operazione, contrabbandata come mezzo per avvicinare lei e chi la ascolta al Regno cui dice di voler puntare, ma in realtà finalizzata ad arricchire i soliti personaggi senza scrupoli". Bhe, l'apateporia sembra averla avuta: ha conosciuto un'istituzione totale cattolica dall'interno, come dire? a piena Sinestesia. Ed essa ha innescato un normale effetto mutantrogenico, lei è cambiata.

Ma come, abbiamo perso una cantante? No, non è detto! In effetti non se ne parla, in ogni caso bella voce, certo, ma davvero mediocre autrice.

Bene, allora, abbiamo guadagnato un essere umano? Ah, neanche questo è detto, e comunque non sta a noi dirlo, che  viva la sua vita libera! Certo che, anche come personaggio pubblico (che sembra voler essere), dal nostro punto di vista basterebbe non innescasse una dinamica mutantroposnoblotica.

Solo... ci fa sorridere quanto l'analisi mutantropologica del comportamento umano si basi su assunti semplici ed assolutamente funzionanti, in grado di interpretare correttamente, quindi spesso prevedere, il reale. E... come dire? Notiamo che una cosa non è cambiata. Ce ne rendiamo conto dal primo cenno di osnoblosi: nelle prime interviste rilasciate dichiarava di essersi limitata a lasciare l'ordine monastico e oggi fare la cameriera in Spagna. In quelle più recenti, invece, getta la maschera e annuncia un progetto discografico, dopo quello (a quanto ci consta) catastrofico del 2018 passato totalmente inosservato.

Ci mancherebbe, a noi come a tutti va benissimo che l'essere umano Cristina Scuccia segua la sua via e faccia la sua vita, guadagnandosi il pane onestamente, pur ricorrendo a certe furbette (e fors'anche irritanti) tecnicucce di marketing. In ogni caso non sono affari nostri. Però vediamo lo stesso essere umano abbagliato dalla gloria del mondo, dalla sua esposizione mediatica e nel music-biz. Symbolum versus diabolum, come ci sembrò allora. Veramente riuscirà a servire l'Altissimo, come dice di voler (continuare a) fare?

L'unica, cara Cristina, è fare una vera scelta mutantropica interiore e profonda, superare la condizione umana, insomma la via del Metantropo. Roba tosta. Perché - così dicono - fa scegliere fra Dio e Mammona.


14 maggio 2021

Nomadland: un semplice caso di edonismo borghese

Insomma carissimi, è inutile negarlo: il blog ha terminato la sua attività. Ma davanti a fenomeni osnoblotici di questa portata, specie se su tematiche (sedicenti) artistiche e viepiù mutantropiche, fremiamo di uno sdegno che non ci permette di tacere.

Bene, come tutti sanno, un po' a sorpresa l'Oscar 2021 l'ha vinto Nomadland, sorta di road movie della regista cinese (e, a dir poco, borghese) Chloé Zhao. Un film tutto in rosa, dal momento che è stato scritto, diretto e interpretato da donne. Da allora la critica ha declamato con una sola voce un tripudio di lodi entusiastiche, cosa che ci sta, ci mancherebbe, come si dice "it's a matter of taste", anche perché non si tratta di un brutto film, anzi. Quello che però ci lascia sconcertati è l'unanimità acritica e quasi senza eccezioni di un tale punto di vista, per un film che, lo vedremo analizzandolo, nel suo essere carino non è poi quel meritevole. Ciò ha confermato la nostra bassa, diremmo anzi bassissima, considerazione dell'Oscar, premio che - per fare un esempio a caso - nel 1982 ha trascurato un capolavoro epocale come Furyo con David Bowie per gratificare invece I Predatori dell'Arca Perduta. Davvero, solo questo qualifica l'iniziativa più di 1000 nostre parole. Ora... non vogliamo dire che quest'anno sia successa una cosa simile (ci sarebbero ben altri anni e ben altri esempi, vedere qui o qui), ma certamente non è per amor di patria (che chi ci conosce sa essere assente in noi, anzi) che affermiamo che, ad esempio, il Pinocchio di Matteo Garrone sarebbe stata opera ben più meritoria, anche perché archetipo mutantropico ormai per antonomasia. Ma non importa, non vogliamo fare confronti, ma solo dimostrare con le categorie della mutantropologia la mediocrità un po' meschina e forse un pelo ipocrita dell'opera vincente, oltre alla sostanziale incomprensione della critica che tanto l'ha ricoperta di encomi.

Ordunque, di cosa tratta Nomadland? certo, è un road movie, già detto. Certo parla di una donna, Fern, interpretata dalla strepitosa (questo va detto) Frances McDormand, l'unica attrice in grado di apparire brutta, buffa e goffa come un uomo, e dal punto di vista dell'arte attoriale questo è un merito. Una donna che decide di condividere le vite dei diseredati e dei disadattati, essendo rimasta senza casa lei stessa (interessante quando specifica "senza tetto, non senza casa", tentando di rendere l'intraducibile "houseless, not homeless"). Fin qui tutto bene, il film sembra stare dalla parte dei poveri, dell'umanità tritata da un sistema economico e bancario spietato, senza riguardo per il valore della vita e generatore di iniquità e miseria, oltre che potenzialmente di devianza (e diciamo "potenzialmente" perché qui sta uno dei difetti del film, come vedremo). Il tutto corredato da immagini bellissime, panorami mozzafiato di una natura che negli USA sopravvive fiera e selvaggia, di una forza stordente e incontaminata.

Ecco, questo è il bello del film: una donna buffa e bruttina che gira gli USA a fianco dei poveri e dei disadattati, godendo di una natura a dir poco meravigliosa. Ok. Quanto può reggere una cosa simile, un quarto d'ora? Mezz'ora, tipo documentario? Insomma, in quasi due ore di film qualcosa bisognerà pur dire, no? Ed è qui la prima domanda: di cosa si parla in quasi due ore, alla fin delle finite? Beh, di primo acchito uno potrebbe rispondere: di ingiustizia sociale, analizzando singoli casi di cui la protagonista si interessa, ciò dovrebbe provocare sdegno e dare origine a una forte critica nei confronti del sistema americano, no? Oppure ancora di Mutantropia, tematica eminentemente connessa al viaggio (si comincia in un modo, ma le esperienze porteranno a un cambiamento), specie se connotato emotivamente dal rapporto con gli altri, vero? Sì, potrebbe, o forse proprio dovrebbe, invece....  

Invece, non si sa quanto volontariamente, a un certo punto il film getta la maschera. Certo, ci aveva dato qualche preavviso: lei non è veramente interessata ai disadattati, lo è molto di più a trovarsi lavoretti occasionali per sopravvivere. Per carità, non c'è nulla di male, è una persona onesta e non ruba niente a nessuno, ci mancherebbe. Ma questo è il suo scopo, girare per paesaggi incantevoli facendo esperienze naturalistiche pseudo-mistiche e lavorare quel minimo per poterselo permettere, non altro. Disgraziatamente sulla sua strada è pieno di poveracci e disadattati, ma basta comportarsi in modo più o meno gentile con tutti e vedrai che non avrai problemi. Cosa, tra l'altro, singolarmente falsa (altro elemento osnoblotico): chi scrive è persona di mondo in modo sufficiente da aver vissuto in mezzo ad homeless e casi umani vari, ed è abbastanza onesto con se stesso da aver capito che non esistono le favole, che la povertà porta sì a benevolenza, solidarietà e condivisione (soprattutto, anzi), ma anche a piccoli furti e sconcertanti meschinità. A piccole e grandi violenze, sopraffazioni tipiche dell'ignoranza giustificata dallo stato di necessità. Cosa di cui non c'è la minima traccia nel film, dove i diseredati sembano tutti angeli, tutti santi, tutti votati alla creazione di una società utopistica fuori dalle regole del mainstream e dedicata all'aiuto reciproco e alla solidarietà senza conflitti. Che dire? Amen

Però, come si diceva, lei non è veramente interessata a loro, se non per piccole necessità pratiche, anzi a un certo momento getta la maschera e si rivela quella che è: una persona in fondo privilegiata che ha fatto una scelta di vita perché poteva permetterselo. Una che in caso di necessità sa dove trovare il denaro per affrontare i problemi, e volendo avrebbe anche la possibilità di vivere una vita agiata. Ci mancherebbe, nulla di male, anzi forse è più meritevole un borghese che sceglie di vivere fuori dagli schemi rispetto a un dozzinale conformista (Technesya docet, dopotutto, no? 😄), ma per favore non parliamo di film interessato a chi ha perso tutto! Lei è sempre gentile con tutti, per carità, ma non è una di loro e non è veramente interessata ad alleviare in qualche modo le loro sofferenze, ma nemmeno a creare vera coscienza sulla loro condizione. Vuole solo essere lasciata in pace e godere delle prerogative positive di questa vita dedicata alle bellezze naturali, accettando di buon grado di pagarne le conseguenze e i disagi, insomma una sorta di gaudente epicurea che accetta i malesseri conseguenti ai suoi vizi. 

E il film si dipana fra paesaggi mozzafiato e imbarazzanti momenti di noia, seguendo l'edonismo nomade della protagonista che sembra vivere tutto un po' per caso, non volendosi attaccare a niente e a nessuno, ma nemmeno risultando di alcuna reale utilità a chicchessia, come ad es. lo stato di coscienza di un sempre più annoiato e perplesso spettatore. Inoltre un simile viaggio, tanto godevole da vivere quanto tedioso da guardare, nemmeno riesce ad arrivare alla minima valenza mutantropica! Lei sembra non imparare mai nulla dalle esperienze che vive, sembra volersele solo lasciare alle spalle. Certo deve superare il lutto per la perdita del marito, ma anche questo sembra quasi un incidente che non produce mai vera coscienza, non induce mai effetti mutantrogenici, in uno stato di immobilismo mentale e morale che ha del deprimente, e che fa di una dorata e privilegiata precarietà ragione di esistenza. Un'esistenza piatta, che prosegue per godimenti e senza mutamenti o vere apateporie, giusto occasionalmente disturbata da qualche piccola seccatura o momenti di emotività piagnona, ma presto superati. E sul povero spettatore, insieme ai mervigliosi panorami, si riversa un tedio da inconcludenza, una sequela di vuoti eventi da culo sul velluto in gabbia dorata mobile, peggio, pure un po' paraculo perché vuole sembrare l'opposto.

Insomma, noi di Technesya non siamo né possiamo essere contro chi fa del continuo perseguimento del proprio piacere causa di vita, ma semplicemente vogliamo chiamare le cose col loro nome, fuori da osnoblosi e ipocrisie posticce. E qui invochiamo coerenza: se vuoi fare un film sui poveri fai un film sui poveri e/o su chi sacrifica la propria vita per alleviarne le sofferenze. Perché se vuoi qualcosa, per quel qualcosa combatti, ti sacrifichi, perché le uniche cose reali della vita le ottieni solo con la dedizione e il lavoro, non con un godimento inframmezzato di buonismo peloso. Altrimenti i poveri diventano giusto un incidenter tantum, uno dei vari colori di un film che sostanzialmente li ignora se non per la loro componente folkloristica e in fondo decorativa, una delle componenti più o meno gradevoli (tanto sono tutti buoni, bravi e innocui) di uno stile di vita che è il vero oggetto del tuo interesse. Anche perché così, giocoforza, tale scelta di vita - il precariato buonista - si fa modello mutantropico, forse inconsapevole e superficiale, nondimeno sembra portare felicità. Un'ennesima ode al disimpegno che troviamo francamente evitabile.  

Mah, a quando un film su Andrea Agnelli che gira le case occupate di Torino? O su Berlusconi nei centri sociali di Milano? Daiii, un'idea grandiosa!

5 dicembre 2020

Tenet: la summa osnoblotica di un'operazione incomprensibile


Eh certo... a blog praticamente chiuso noi di Technesya sentiamo ancora il dovere di dire la nostra davanti a operazioni che ci fanno fremere di sdegno. Perché anche se non siamo riusciti a incidere sul nostro secolo "osceno e pavido" (cit.) quanto avremmo voluto (se è per questo nemmeno 1/10 di quanto avremmo voluto, ma poco importa), per noi l'arte resta sempre la modalità precipua di elevazione per lo stato di coscienza, insomma per parlare in modo polisemico ed edificante a chi quest'elevazione la persegue. E simili operazioni mettono a dura prova la tenuta delle nostre viscere.

Ma di che operazione si tratta? Buona domanda, non siamo nemmeno certi di averlo capito! Eppure è stata gestita da uno dei geni registici del nuovo millennio, Christopher Nolan, in grado di sorprendere tutti nel 2000 con un capolavoro come Memento, un film "montato al contrario", ovvero che comincia dall'ultima scena e dove ogni sequenza successiva si situa cronologicamente prima di quella precedente. Un modo nuovo (e poco seguito) di intendere il montaggio per uno splendido e allucinato affresco sull'insufficienza della notazione umana - eminentemente la scrittura - nel ricostruire un'immagine fedele del reale, quand'anche impressa nella propria carne. Il protagonista si incide ma non capisce, dimentica sistematicamente, e andando a ritroso nel tempo comprendiamo quanti errori arriva a fare fino a stravolgere completamente il senso di tutta la sua azione. Insomma un capolavoro visionario e delirante.

A onor del vero dopo quell'exploit il nostro non è stato altrettanto in grado di colpirci. Film più o meno riusciti sul cavaliere oscuro Dc Comics, ma ammettiamo di non essere grandi fan di Batman, e in un caso è stato capace di creare una sinistra fascinazione con The Prestige, uno strano e originale thriller psicologico sull'ambiente della prestidigitazione e dell'illusionismo. Da un certo punto di vista un po' contorto e autocompiaciuto, questo bell'esempio di entertainment coinvolgente forse stava cominciando a rivelare i difetti del cinema di Nolan più dei suoi pregi. Infatti per noi sono stati una grande delusione i suoi seguenti e blasonati titoli quali Inception, per quanto ancora intrigante, e l'addirittura imbarazzante Interstellar, un film che meriterebbe i toni di questa nostra recensione: amore per il cervellotico, pseudoscientismo, paranoia gratuita e alla fine risultato-cagata rivestito del più stucchevole sentimentalismo, per uno dei momenti più imbarazzanti ma celebrati della storia del cinema. Avremmo dovuto capirlo allora...

Ma veniamo a Tenet, titolo palindromo e non a caso. Perché... cos'ha fatto il nostro genio? Ha preso uno dei più ermetici segreti del passato, il cosiddetto "Quadrato del Sator", e l'ha dato in pasto a teorie a dir poco fantasiose. Ora... cosa significa o potrebbe significare questo misterioso scritto palindromo? Ha qualcosa da dire all'umanità moderna? Se è un simbolo certamente sì, perché per sua stessa natura dovrebbe essere in grado di parlare agli strati più interiori dell'umanità di tutti i tempi, riportiamo qui uno solo degli innumerevoli esempi reperibili in rete. Invece che uso ne fa il Nolan? Ogni riga è diventata parte del suo disegno criminale: la prima è il nome di un trafficante d'armi internazionale (il villain del film, un arcigno e bravissimo Kenneth Branagh), la seconda di un oscuro pittore falsario spagnolo, la terza il titolo del film con un assurdo riferimento al numero 10 (non palindromo e non spiegato), la quarta un'operazione occulta, la quinta un'azienda criminale. Ecco, la frittata semiotica è fatta. Non vorremmo ricordare qui a che tipo di categoria osnoblotica appartiene lo svilimento del simbolo, ci limitiamo a citare il celebre brano dei Death in June But What Ends when the Symbols Shatter?, cosa finisce, cosa si perde quando vengono distrutti i simboli?

Beh, non contento di un simile scempio, il nostro probabilmente fuma qualcosa di buono e ci dà dentro come non mai con:
- un attentato iniziale senza senso in cui non si capisce chi fa cosa e perché
- un protagonista (un monoespressivo John David Washington) che sembra una comparsa e capisci che è il protagonista solo dopo un po'
- misteriori sicari dal futuro che vengono a rompere le scatole nel presente senza movente o ragione alcuna, sfidando così il "paradosso del nonno"
- fantasiose leggi della fisica secondo le quali se qualcuno viene dal futuro allora si muove al contrario, e il caldo diventa freddo e l'aria diventa irrespirabile (???)
- ancor più fantasiose, roboanti e finto-erudite teorie scientifiche che spiegano questi fenomeni solo in parte e con verbosità inintelligibili, e sembrano far tutto facile
- la possibilità di "azioni temporali a tenaglia", ovvero una squadra che agisce nel presente, quindi col tempo che va normalmente avanti, perfettamente coordinata con una che viene dal futuro, quindi col tempo che va indietro e che si muove al contrario (quando sappiamo bene quanto sia facile il solo coordinarsi fra noi comuni mortali!)
- nel farlo sposta schizofrenicamente l'azione in giro per il mondo, da Mumbai a Oslo, da Positano alla Siberia, senza mai farci capire esattamente perché, né chi spara a chi, né alla fine che bisogno ci sia, con buoni e cattivi che compaiono e scompaiono senza ragione
- ipotizza infine l'esistenza di un "algoritmo" che però non è matematico, è fisico, ma senza mai dirci che cavolo è, e lo divide in 9 pezzi ma tutti in possesso dello stesso villain di cui sopra (se li ha tutti lui perché farlo in 9 pezzi? e perché proprio 9? MAH)
- e, in un mondo di burattini che vanno a comando, mette tutto il dramma e il pathos della storia in seno a un'assurda donna-giraffa (un'algida Elizabeth Debicki) apprensiva il modo monomaniacale per il figlio

Ora... chiariamo subito che questo fatto della donna-giraffa è uno dei pochi dettagli che ci è piaciuto del film, al netto delle sue apprensioni per il figlio decisamente sovradimensionate allo stucchevole. Insomma in ogni action-movie che si rispetti esiste (almeno) un personaggio femminile fra il sexy e la femme fatale, qui invece c'è questa stangona imbranata e indecisa che, nella seriosità ammorbante e inconcludente con cui si dipanano vicende sempre più improbabili, potrebbe rappresentare una sorta di jolly, di wildcard ironica, quasi un momento comico e spiazzante, e invece... invece purtroppo lo è solo in minima parte, anzi il personaggio diventa - come si è accennato sopra - il centro del pathos del film, contribuendo a quella seriosità senz'appello che alla fine è la vera pietra d'inciampo di un'opera già poco credibile, e non c'è incredibilità peggiore di quella che si prende sempre e sistematicamente sul serio.

Beh, che dire? Qualcuno ha scritto che il cinema di Nolan si caratterizzerebbe per "la vendetta, l'ossessione, l'inganno, il tormento interiore, il confine tra realtà e la percezione della stessa racchiusa nei suoi personaggi", e questi elementi possono anche essere rintracciati, ma in un lavoro che alla fine non dà spiegazioni a niente, dove nessun paradosso viene svelato o risolto, peggio, in cui le poche spiegazioni azzardate hanno dello sconcertante ("così stanno le cose" piuttosto che "così è andata"), dove il gregario - pure nero e più volte rimproverato per l'abbigliamento - scopre di essere il protagonista, dove la sua alleata indiana in realtà è una cattiva senza scrupoli, dove il suo migliore amico ha terminato la loro amicizia che invece per lui è appena inizata, perché tanto quest'ultima sarà tutta nel futuro. Ah, certo, lui ha salvato il mondo ma la bomba che non esplode non interessa a nessuno, incomprensibile e decotestualizzata chiosa probabilmente inserita nel finale per scuotere gli animi, che però restano più indifferenti che coinvolti.

Insomma, signori, capiamoci. A noi non interessa il fatto che il film abbia fallito miseramente su tutta la linea: non è action movie perché interrotto da troppe riflessioni pseudo-scientifiche e filosofiche, dove le varie azioni sembrano slegate, non vengono veramente giustificate e ciò le rende stranianti, fini a se stesse, non avvincenti perché non concorrono a un fine condiviso o anche solo comprensibile. Ma anche come film scientifico-filosofico si perde fra spiegazioni monche, arbitrarie ma roboanti ai limiti del ridicolo: perché se uno viene dal futuro deve muoversi al contrario? Perché per lui caldo e freddo sono invertiti? Perché non può respirare la nostra aria? Certo, la scena in cui uno lotta col se stesso del futuro che si muove al contrario è certamente inedita nella storia del cinema, ma davvero vale due ore e passa di sciempiaggini? A ciò aggiungiamo che i riferimenti metafisici e simbolici (il quadrato del Sator) vengono buttati nel cesso senza il minimo rimorso, e sono pure totalmente assenti sottotrame emotive, innamoramenti o altro, anzi la dimensione psicologica dei personaggi rasenta il piattume stadard di stereotipi, maschere, insomma canoni di genere, modelli mutantropici senz'anima. No, non ci interessa il fatto che questo film sia un disastro arrogante, ambizioso e goffo come pochi ne ricordiamo.

Ci interessa che sia costato 205 milioni di dollari. 205 milioni sottratti all'arte, al vero cinema di ricerca e impegno, magari con qualcosa di vero e utile da dire. E, visti anche gli incassi sotto le aspettative, ci chiediamo... perché? Cui prodest? A chi è servita questa montagna di seriose e ipercinetiche menzogne? All'ego di Nolan? Davvero non capiamo, ma cominciamo ad aver paura.


12 giugno 2020

Oltre il Belato del Coniglio... lo scontro fra occultisti borghesi


Carissimi, permetteteci questo inatteso ritorno, doveroso dopo la lettura di uno degli articoli più sconcertanti degli ultimi anni, ma eloquente nel descrivere il livello del dibattito. Il tutto speriamo senza offesa nei confronti degli interessati, l'attore-fantoccio (anche perché coinvolto in tenera età) Daniel Radcliffe e la scrittrice con meno meriti ma più fortuna del XXI secolo Joanne K. Rowling. Non li conosciamo e - come sempre - le nostre parole non sono certo dirette agli esseri umani, multisfaccettati e inconoscibili nella loro essenza, bensì ai personaggi pubblici che hanno accettato di rivestire.

Ora... per chi ci segue non è segreta la nostra profonda avversione verso Harry Potter, cui non abbiamo dedicato un post giusto perché alla fine si tratta di letteratura per bambini (o per aduti con ritardo cognitivo, quindi a maggior ragione...), di conseguenza di scarso valore mutantrogenico. Certo, qualcuno potrà obiettare che è proprio la letteratura per bambini quella che propone il maggior numero di modelli mutantropici, quindi a più alta valenza mutantrogenica, ma è anche vero ciò che cantava un celebre vocalist romano negli anni 70: "18 anni sono pochi per promettersi il futuro", figuriamoci meno. Il bambino, purtroppo o per fortuna (noi diremmo purtroppo), deve farsi il giro di ogni spazzatura astrale per formare il proprio giudizio personale nei confronti delle cose del mondo, o coscienza critica, e anche superata la fase adolescenziale non sarà abbastanza, dal nostro punto di vista la gran maggioranza degli adulti è ben lontana dall'obiettivo.

E, in mezzo a questa spazzatura astrale, fra le cose peggiori che possano capitargli c'è proprio Harry Potter, ovvero il mago piccoloborghese, il conformista non-mutantropo ma anzi sottoposto a un mutamento culturalmente imposto, in un mondo dove la magia è una vaccata inverosimile fatta di improbabili formule in latino maccheronico e nodose bacchette magiche più importanti di ogni essere umano: insomma un pirla con la bacchetta giusta farebbe più magie di un saggio con quella sbagliata, cosa falsa persino con, che so? una banale arma convenzionale. Il tutto svilendo, anzi proprio annullando - e qui sta l'osnoblosi - la più lontana percezione di un concetto di magia autentico, quello che permette ai grandi Maestri e saggi del passato di affermare che l'Uomo (con la U maiuscola) è un ente magico, ovvero in grado di manipolare energie invisibili e ancora non riconosciute dalla scienza per cambiare se stesso e il mondo.

No, niente di tutto ciò. Sua maestà "mente piatta" Joanne K. Rowling ci propone un mago borghese, intriso di ideali convenzionali emersi impietosamente alla fine dell'ultimo capitolo (dove le famigliole accompagnano al treno i figli destinati al condizionamento mentale a loro volta subito), uno pseudo-mago pavido come un coniglio apatepofobico, capace solo di seguire belando un'azione materiale ed esterna, nulla di spirituale o anche solo di psicologico e interiore (al di là di normali e, se dobbiamo dirlo, banalissime fasi della crescita raramente descritte peggio). Insomma un modello mutantropico mediocre, oltre che falso, frutto di una mentalità modesta, retrograda e forse un pelo reazionaria, ma proprio per questo premiato oltre ogni verosimile giustizia dal regno dell'osnoblosi imperante, cui tutti evidentemente siamo costretti. La stessa mentalità che ha fatto affermare a questa signora dalla visione cosmica pari a quella di un toporagno imbalsamato, che "sono donne soltanto le persone col ciclo mestruale", con buona pace di chi soffre di amenorrea, che oggi non sa più chi è...

Insomma l'opposto di quanto affermiamo noi, che parliamo di Mutantropo interiore, che riteniamo il cambiamento frutto innanzitutto di uno stato di coscienza ancor prima di dare segni esteriori di qualsiasi sorta, che indichiamo la via mutantropica consapevole e responsabile come Stella Polare per l'uomo moderno. Cioè, persino Gianmarco Capogna (che, chiediamo scusa, non abbiamo idea di chi sia) arriva ad affermare che è "assurdo che ci sia ancora chi, per mascherare le proprie posizioni transfobiche, continui pretestuosamente a voler fare confusione fra sesso biologico e identità di genere", anche se la nostra impressione è che l'interessata non arrivi nemmeno ad intuire, non diciamo a comprendere, tale differenza. Infatti ha corroborato la sua sconcertante esternazione con un improvvido (e intellettualmente suicida) "se il sesso non è reale, non c’è attrazione per lo stesso sesso e cancellare il concetto del sesso femminile rimuove anche l’abilità di molti di discutere delle proprie vite in maniera costruttiva", altro frutto dello stesso albero che ha generato il maghetto piccolo piccolo (cit.). Di conseguenza persino quella non cima di Daniel Radcliffe, maschio ed eterosessuale (come eterosessuali siamo noi in redazione, non che significhi alcunché), si è sentito in dovere di intervenire con affermazioni del calibro "Le donne transgender sono donne”, e “ogni affermazione in senso opposto cancella l'identità e la dignità delle persone transgender e va contro tutte le indicazioni delle associazioni che offrono sostegno professionale e hanno molta più esperienza su questo argomento di Jo (Rowling, ndr) o me stesso”.

Con ciò potremmo dire che, guardando al significato stretto delle parole, la Rowling può anche avere ragione, perché in linea di principio non c'è nessun problema nemmeno ad assegnare status diversi a trans e donne, non foss'altro che per sottolineare il valore mutantropico identitario dei primi. Nondimeno Daniel, la persona oltre il fantoccio, ha voluto parlare oltre il belato del suo personaggio. Ha voluto affermare che tutti noi siamo meno umani se non includiamo nella nostra esistenza almeno un minimo elemento di innovazione, di cambiamento, oseremmo dire Mutantropico, necessariamente negato dall'accettazione passiva di un'identità meramente genetica. Che quella del cambiamento vero, interiore, è l'unica vera magia o certamente la più importante che un essere umano degno di questo nome possa fare su se stesso e per il mondo, persino se questo cambiamento va contro la morale comune, contro il conformismo di chi bela, sfidando il timore dei conigli.

Lei, sig.a Rowling, pensi al suo e ringrazi ogni giorno una stella tanto unica quanto rara, va'... che così, ad occhio e croce, per lei sembra più maledizione che benedizione.