31 marzo 2015

Breve confronto festivaliero: Bookpride vs Sublimar


Cari tutti, siamo una redazione, fra noi (non molte) persone diverse per cultura ed esperienza. Quindi certuni necessariamente "di sinistra", o provenienti da quell'area culturale. Ma chi ci segue sa bene che non amiamo la politica, a qualunque colore appartenga, e quelli di noi da lì venuti hanno presto capito che, per citare Bob Dylan, "Marx non aveva tutte le risposte" :D

Siamo reduci dal tanto decantato Bookpride e dobbiamo dirci ammirati per il modo con cui quest'evento è riuscito a far parlare di sé. È stato molto intelligente puntare su di un mito assurdo, ossia quello dell'editoria indipendente, come se quest'ultima fosse una categoria omogenea. In ogni caso è un valore con la sua importanza, in un evento ben riuscito, almeno in termini di pubblico e risonanza mediatica.

Dobbiamo ammettere di non frequentare molto i festival letterari, anzi... a esser sinceri frequentiamo poco qualunque cosa ;) In ogni caso l'ultimo che ci capitò di vedere fu Sublimar, dove avemmo modo di recensire quel brontolone di Sgarbi. Ecco, nell'essere piuttosto simili, Sublimar e Bookpride si situano su due piani complementari, se non proprio opposti, del fare festival letterario. Tanto era all'aperto, primaverile, verde, storico-artistico Sublimar nei suggestivi chiostri dell'Umanitaria, quanto è stato al chiuso, buio, quasi cupo Bookpride, nei freddi e moderni saloni dei Frigoriferi Milanesi. Entrambi con stand fieristici, ma come sembravano più curati e armonici quelli del primo, e quanto squadrati e industriali quest'ultimi. Certo, questi erano affollati, i primi no.

Per entrambi la letteratura non può che essere necessariamente cultura, perché mette la speculazione umana come oggetto di attenzione e analisi (per Sublimar poteva esserci il sospetto che non fosse così, vista la sottile distinzione fra letteratura spirituale e Scrittura Sacra, ovvero rivelata, ovvero non propriamente umana), ma il primo agisce sul piano verticale nella ricerca di un'elevazione - o sublimazione - verso il trascendente, il secondo invece su quello orizzontale, proponendo una più efficace e consapevole azione sociale. Raramente come in questo caso l'etichetta "materialismo storico" è stata più appropriata: non esattamente "editori indipendenti", quindi, o almeno non intellettualmente se così "in ambito marxista", a volte più sulla politica, altre più sulla narrativa.

Nulla di male in sé, ma se orgoglio di indipendenza significa anche amore d'equità, allora avremmo gradito qualche editore di altri colori, pur non necessariamente apprezzandolo. Sì, c'era qualche scheggia impazzita, come ad es. dei seguaci di Paramhansa Yogananda persi come pesci fuor d'acqua, o un'importantissima Astrolabio Ubaldini solinga e disertata, o ancora un'assurda Jaca Book che, seppur moderatamente frequentata, rappresentava un corpo estraneo ai limiti dello schizofrenico.

A Sublimar invece erano rappresentati tutti i credi e tutte le correnti spirituali, PERSINO il cattolicesimo, persino quelle nascoste, o secondo certuni apocrife, o esoteriche, o iniziatiche, o ancora sapienziali. Ma la cosa più bizzarra è che convivessero con le cattoliche nelle sia pur mille sfumature di queste, spesso più in contrasto fra loro che con ipotetici oppositori teologico/dottrinali. A Bookpride un monocolore (rosso) dalle diverse sfumature schizofreniche e dialettiche, a Sublimar i tanti colori in cui si divide la luce quando tocca la materia, in un'inedita armonia, quanto più importante oggi! E si è parlato comunque dell'uomo, e del vivere, e del senso dei nostri atti sulla terra, perché a considerar Spirito, purtroppo o per fortuna, spesso si tratta più d'azione che di speculazione.

Insomma non c'era meno scienza. Si spera più sapienza. Purtroppo, e chissà perché, meno gente.