21 gennaio 2014

Due Apateporie in una Settimana (anzi lo stesso giorno)

Più esattamente il 16 gennaio! Carissimi, questa simpatica rubrica non poteva mancare a lungo e per farci perdonare cerchiamo di compensare con ben due buffissime apateporie: una di un ingenuo burattino Morgan-style che, similmente al suo modello, finge di non capire le regole a cui gioca, l'altra di un gigante venerato come sacrosanto, ma vigliacco e beccato ad abusare del proprio gigantismo. Speriamo che vi diano materiale di riflessione per le prossime settimane ;D

Il primo è certo Valerio Scanu, sconosciuto ai più e non amato da buona parte degli altri. Nessuno esclude che "tecnicamente" possa essere un cantante anche dotato (in fondo ha vinto quell'annosa kermesse nazional-popolare denominata "Sanremo"), ma la sua caratura artistica, oltre che da autorevoli testimonianze critiche, è certificata dal fatto che la sua fama gli sia stata procurata da Amici di Maria de Filippi, il programma televisivo sedicente talent-show il cui unico talento dimostrato è stato quello di buggerare gli ingenui (sfrucugliando le più abiette emotività). In questo facendo a gara con l'inguardabile X-Factor, condotto da sua sfattanza Morgan, per il titolo di maggior spreco deprimente di 50 anni di televisione italiana. Ma perché i talent fanno tanto orrore? Perché si approfittano di un'incapacità degli ingenui da loro buggerati: quella di distinguere un artista da un burattino. Come introdotto nel nostro precedente post a proposito di svolte e picchi, l'artista è quello che innova e fa arte (anche male, non importa, il punk ha dimostrato che ciò che fai è più importante di come lo fai), è l'artigiano a dover fare le cose "bene". Ci sono artigiani nobili che fanno cose pregevoli. E altri, come il burattino da macchina dello spettacolo, artigiano su se stesso che però, consapevole o meno, esegue gli ordini performativi di colui che manovra i fili.
Ora, capiamo perfettamente che non tutti possano essere artisti, ci mancherebbe altro! il mondo sarebbe invivibile (con la presente modalità "industriale" di riproduzione dell'opera d'arte... in una società più umana forse no ;). Il punto è che se sei un bravo burattino e con questo vuoi guadagnare, allora accetti le regole del gioco, con tutte le possibilità di sacrificio cui si è fatto cenno. Ma al bravo burattino Scanu, come a chi è dotato più di ego che di comprensione, le regole vanno bene finché li premiano e non vanno più quando mostrano l'altra inevitabile faccia della medaglia. Insomma gli va bene fare il burattino finché generosamente remunerato, ma quando il gioco finisce pretende di essere essere trattato da artista. Ovviamente senza esserlo... di più, senza aver SCELTO di esserlo, con tutto il dolore e le difficoltà che questa scelta comporta, specie in un paese miope e ingrato come il nostro.
Il cantante da balera o da crociera a scelta, anche talentuoso - per carità - ha conosciuto il suo momento di celebrità? Ok, qualcuno gli dica che un momento dura un momento. Poi si ringrazia e si torna in balera, che i veri mutantropi cantano altrove. O almeno dovrebbero! :O

Passando alla seconda, carissimi, ammettiamo che nel post che lo riguardava ci siamo sentiti un po' soli nella critica, non solo e non tanto a quel simpatico fanfarone di Steve Jobs (RIP), quanto alla perfida azienda da lui fondata e ai sistemi subdoli che usa per spennare i conformisti e gli idioti di ogni risma.  È incredibile come certi miti siano duri a esser messi in discussione: lo sfottò a Morgan e Sorrentino, due assolute nullità, ha creato vespai di apologia assolutamente immeritati, quello alla Apple invece solo un sussiegoso (o forse pavido?) silenzio, salvo poche eccezioni (grazie Volontario!). Evidentemente una divinità non si discute, neppure su un blog un po' irriverente come Technesya.
Ma allora ci chiediamo perché, ad es., da Nelson Mandela non è emersa alcuna azienda furbesca o poco etica? Forse per il detto evangelico dell'albero che si giudica dai frutti? Oppure, se la Apple (ooops, un frutto!) ha sempre avuto un comportamento tale senza il consenso di Jobs, perché lui non l'ha mai denunciata? Perché non fare nulla per fermarla o almeno redarguirla? O nel suo adolescenziale slogan "stay hungry, stay foolish" ci manca la terza parte, "stay blind" (o era "stay ostrich" e non ce ne siamo accorti ;) ?
Anche qui... l'apateporia l'ha avuta l'azienda, e giustamente, in uno di quei rari casi in cui un comportamento non etico, che per noi vuol dire osnoblotico, non paga e non paga per sua enormità, potremmo dire per sua ipertrofia osnoblotica: 32 MILIONI DI DOLLARI di truffa nei soli USA! E al mondo cosa non è? Al confronto i nostri politici sembrano ladri di polli di campagna!
Però, daaaaai, anche i clienti di Steve come sono messi? Volete il ninnolo popolar-borghese, l'allucinante Giano bifronte creato da Apple per il popolo conformista? E va beh, vale bene che i vostri figli vi spennino sull'app store, anzi dovreste farvene un vanto: "ah, pensa che ieri quel birichino di Gigi mi ha ciulato € 200 per un'app davvero troooppo cariiina!" Graaaandi, dei veri Apple victims! :D

Vedete cosa succede quando un modello di merce surroga un modello di uomo? Eumutantropooo pensaci tuuu!!!

12 gennaio 2014

Etica e Semplice (?) Estetica


Cari lettori, scusate se è qualche tempo che manca la tradizionale Apateporia della Settimana. Ammettiamo che la redazione sia un po' in affanno e comunque ultimamente le migliori apateporie non ci vengono certo risparmiate dal nostro caro e amatissimo governo, fra pasticci sull'IMU e richiesta di soldi agli insegnanti... Oggi però ci preme parlare di un servizio andato in onda sul Tg2 delle 20,30 di sabato 4 gennaio, un divulgativo ma comunque interessante trampolino di lancio per certi argomenti. Come forse avete intuito, ultimamente siamo più affettuosi col Tg2 (a suo tempo ironicamente definito la coscienza critica della nazione), un po' perché sembra davvero aver investito in serietà, diciamo smorzato la frivolezza, e un po' perché ha eliminato l'indegno carneade Rosario Sorrentino dalla sua programmazione. Ed in effetti il servizio in oggetto ci sembra davvero interessante perché, dopo aver parlato del mistero e, curiosamente, della riduzione a meme della Gioconda, pone in modo semplice una serie di domande serissime: quando e perché un oggetto diviene opera d'arte ? E quando e perché quest'ultima diviene capolavoro (loro dicono "un'icona")? Che rapporto c'è fra opera d'arte e simbolo? E fra quest'ultimo e inconscio collettivo (dal Tg2 giustamente denominato "immaginario popolare")?

Ora.... di certo non siamo estetologi, ma forse leggendoci avete intuito che senza una certa consapevolezza sull'argomento non si può fare una vera provocazione estetica, o perlomeno noi nemmeno ci permetteremmo di farla (nelle loro provocazioni di dubbio gusto i sig.ri Darghen d'Amico, Fedez e Mistico non sembrano porsi il problema, ma come si dice? a ognuno il suo livello! ;) Poniamo quindi una serie di punti fermi su ciò che consideriamo arte, come si forma e che rapporto ha col simbolo.

Secondo noi l'artisticità di qualunque opera (o anche idea) risiede sostanzialmente in un componente: il successo della sua provocazione estetica. Quindi:
a) ci deve essere una "provocazione estetica", cioè qualcuno deve pensare che un determinato oggetto/suono/movimento/immagine creato/a dall'uomo, quindi culturale, provochi le categorie estetiche - cioè del bello, ovvero dell'immaginario, della sensibilità e del mito - della propria epoca. A questo punto anche un oggetto naturale (vedasi la roccia di Michael Heizer) può esserlo, perché la provocazione estetica, scegliendolo e ponendolo su un ideale piedistallo, lo culturalizza.
2) dev'esserci quindi un provocatore. Questo nella stramaggior parte dei casi è un artista artefattore, o etimologicamente artefice, ovvero colui che produce da sé l'opera. Ma anche quello che la trova non è meno provocatore, anzi, si vedano gli objet trouvé di Duchamp. Così come l'archeologo o il critico d'arte che decretano l'artisticità di un affresco o di un manufatto antico compiono un'operazione simile, dal momento che non sono mancati casi in cui tali opere fossero create con intenzioni ritualistiche o anche meramente decorative.
3) l'opera deve conoscere un successo non effimero, cioè deve entrare in risonanza con l'inconscio collettivo, ovvero essere riconosciuta e piacere oltre al pubblico per cui è stata pensata (se no si tratta del solito artigianato piacione, "commerciale", ovvero osnoblotico). Più a lungo questo consenso si verifica, maggiormente l'opera sarà considerata arte da un crescente numero di generazioni, perché ricordiamolo: l'arte non è per sempre e ciò che è capolavoro per un'epoca viene distrutto o occultato da un'altra.
Quest'ultimo punto è fondamentale ed alcuni estetologi l'hanno chiamato "polisemia dell'opera d'arte", ovvero capacità di esprimere significati molteplici, quindi adatti a più culture e diverse epoche o aree geografiche. È importante anche per il Tg2 ;) che lo definisce "un senso di libertà, che pervadendo l'opera la trasforma in simbolo: la fa entrare nell'immaginario popolare", ma procediamo con ordine. 

Di certo c'è che la storia dell'arte, ovvero quella scienza umana che ci racconta cosa oggi è considerato arte e perché in chiave storica, è strutturata in svolte e picchi. Il buon Tg2 definisce arte quell'opera "che vada oltre le regole e le infranga, ma senza molto clamore", insomma descrive un picco. Ma un picco non può esistere senza una svolta, quindi senza qualcosa che le regole le abbia infrante in modo radicale e spesso con tutto il clamore (troppo spesso anche egotico) possibile. Insomma l'artisticità della svolta la si deduce proprio dal successo del picco. Una serie di esempi banali: senza il successo del secondo Raffaello non si sarebbe capita l'importanza degli studi di Sebastiano Serlio sulla prospettiva, senza il clamore di Guernica le Demoiselles d'Avignon avrebbero probabilmente avuto un'importanza più limitata. I Velvet Underground, gruppo rock oggi considerato fra i più importanti di sempre, di certo fra quelli classici il più influente sulla scena di oggi, ha passato 10 anni tutti (tempo che nel rock di allora equivaleva a due o tre ere musicali) ad essere quasi totalmente ignorato da pubblico e critica.

Insomma la svolta molto spesso non viene capita dal suo secolo, anzi dà fastidio, è scomoda, quindi non produce polisemia. Questo è il caso della Venere di Botticelli, ignorata per secoli in quanto opera scandalosa e quasi blasfema, perché per la prima volta dai tempi dell'arte classica, quindi da circa un millennio, rappresentava una bellezza femminile senza connotazioni sacre, diciamo senza raffigurare una delle tre Marie ;). Ma vi chiediamo: oggi quanti... ehm, nudi femminili presentano connotazioni sacre? O lo chiediamo al sig. Darghen D'Amico e compagnucci di cui sopra? L'apparentemente interminabile consenso che oggi la Venere conosce è una piacevole coincidenza o una forza intrinseca all'opera?

Un esempio più recente ma perfettamente allineato al discorso è la Ragazza con l'Orecchino di Perla (o, più esattamente, col Turbante) del Vermeer. Artista secentesco totalmente dimenticato per più di due secoli (i primi studi risalgono a fine '800), prima un libro poi un film hanno decretato all'opera un successo clamoroso che sta durando ben oltre il successo del film stesso. Questo perché in un certo qual modo l'opera d'arte si fa meme, ovvero sussume culturalmente una serie di significati simbolici che vengono trasmessi fra le persone secondo una modalità che oggi (ma non ieri) definiremmo "virale", e finché questa funziona l'opera prospera. Che meme è per noi, ad esempio, la citata dal Tg2 Marilyn Monroe di Warhol (che "nobilita a oggetto del desiderio")? Cosa poteva essere quattro secoli fa la Dama con l'Ermellino di Leonardo? Per tacere della sempiterna Gioconda o Monna Lisa, opera d'arte tanto riuscita da aver costituito un meme ad oggi eterno, di certo transepocale come quelli citati nel servizio: il Discobolo di Milone, il David di Michelangelo ecc ecc. Opere che sussumono così tanti significati, passando secoli e secoli con esigenze culturali diversissime, da arrivare a comportarsi come simboli. Quindi arte e simbolo sono in relazione?

Insomma cos'è l'opera d'arte? Un oggetto culturale, concepito con un preciso senso pratico e referenziale come il ritratto di una persona, una decorazione, un oggetto qualsiasi, oppure senza un senso preciso, come uno scarabocchio o un suono generico, ma reso potenzialmente polisemico dalla provocazione estetica. Saranno le generazioni a conferirle significati, pescati direttamente da quello che il servizio del Tg chiamava "immaginario popolare" e noi inconscio collettivo. Insomma l'opera d'arte è riuscita nella misura in cui è in grado di connettere, tramite cortocircuiti culturali o processi neuronali, la coscienza col mare immenso di simboli, valori, miti e immagini condivisi in parte da un'epoca - quindi, diciamo così, morituri - in parte dall'umanità intera, quindi eterni. L'arte è così l'unico oggetto culturale in grado di produrre perennemente senso, quindi polisemico come solo la natura sa essere, infatti ogni generazione dà alla natura i significati che può, cogliendo solo parte del suo segreto insondabile. Ma per l'opera d'arte alla fine questi tendono a chiudersi, bloccarsi, codificarsi in simboli: la Gioconda diventa così un simbolo dell'ambiguità e del mistero, l'Urlo di Munch uno dell'angoscia, il David di Michelangelo uno della bellezza maschile unita alla forza serena, ecc, almeno fino alla fine della capacità di comunicazione della civiltà che li ha codificati. 

Il simbolo invece non nasce come potenzialmente polisemico, au contraire, esso è eminentemente monosemico. Ma se si tratta di vero Simbolo, ovvero orientato al Sacro, esso porta un significato non facile da esprimere, certamente impenetrabile dalle menti ottenebrate. Al che cominciano a fiorire in seno all'umanità interpretazioni vieppiù lontane dal significato originale, se volessimo usare una parola brutta e impropria oseremmo dire eretiche. Ciò avviene per una ragione non dissimile: non cogliendo l'elevatezza del significato originale, l'uomo si connette tramite il simbolo alle regioni più "basse" e fantasiose dell'inconscio collettivo, traendone ogni suggestione e conseguenza. Nel percorso secolare memetico, il simbolo diventa così polisemico contro la sua stessa natura, virtualmente senza fermare mai tale corsa e comportandosi così come dovrebbe fare l'opera d'arte. In questo senso l'opera d'arte con gli anni si comporta come un simbolo e, viceversa, il simbolo si comporta come un'opera d'arte, pur conservando entrambi, per chi è in grado di coglierli, il primo un significato preciso, la seconda un significato "aperto". Il primo viene forzato all'apertura, la seconda condotta alla chiusura. Quando l'opera d'arte finisce di produrre polisemia e i suoi sensi, i suoi significati, sono totalmente codificati (perché in numero determinato e gestibile), allora essa assurge a simbolo di quei significati. E così accadrà per tutte le opere alla fine della civiltà umana, ma forse sarà troppo tardi perché serva a chicchessia (o forse no? chissà...).

La nostra provocazione estetica, lo credereste mai? è la Sinestesi. Perché, fra le altre, sono due le cose che il Tg2 non dice:
1) è dagli anni 60, ovvero dall'epoca della Marylin di Warhol, che l'arte non è più in grado di produrre "icone", complici la caduta delle ideologie, la conseguente parcellizzazione (forse sarebbe più giusto dire la polverizzazione) dei miti e l'autoghettizzazione dell'arte nei territori dello stupore o del mero piacere. Fa forse eccezione qualche film, quindi arte almeno bisensoriale.
2) ma a parte questo, soprattutto le avanguardie - diciamolo - l'arte multimediale e quella (sedicente) sinestetica alla fine si sono rivelate le più sterili, le più incapaci a produrre qualcosa di duraturo e memorabile.

Secondo noi perché è mancata una provocazione estetica forte, veramente commisurata all'umanità odierna, che vive in modo nuovo problemi eterni. Detto questo, è poi così importante divenire un'icona? Se ci pensiamo, le opere presentate dal Tg sono icone nel senso proprio del termine: immagini, figure. Ma se icona significa mito allora anche un uso diverso di un'opera d'arte, una sua diversa fruizione, può assurgere a tale status, per quanto l'aspetto esterno dell'opera non sia particolarmente rilevante. L'icona grafica fa il suo mestiere, connette laddove deve connettere, quella musicale fa il suo e così quella esperienziale, apparentemente così importante per l'uomo di oggi. 

Certo, auspichiamo che alcune Sinestesopere verranno meglio ed assurgeranno a memi semi-eterni e immaginiamo che altre verranno peggio e saranno presto dimenticate, ma la provocazione della Sinestesi di certo rappresenta una svolta. Questo gruppo che si sta formando, e al quale invitiamo tutti a partecipare, spera di poter produrre un picco e sarà suo merito se ci riuscirà. Altrimenti spera di aver teorizzato una buona svolta: profonda, interessante e meritevole di essere messa alla prova. 

Chi viene con noi?