25 novembre 2012

Mutantropia e Depressione

A seguito di quello che Vito definisce il vespaio suscitato dall'ultimo post, ci scrive Simo: «La depressione nasce fondamentalmente dalla non accettazione della condizione umana (per definizione fragile e irrisolta) e di solito tende a manifestarsi quando le possibili strategie messe in atto dall’essere umano per sfuggirvi si esauriscono, dimostrandosi fallimentari o insufficienti. In questo senso la mutantropia può essere un antidepressivo, ma il fatto stesso che venga usata come tale è già di per sé un segno di depressione latente»

Ringraziamo Simo per averci esposto la sua interpretazione della mutantropia con tanto di indicazione di sue potenzialità terapeutiche (sì carissima, gli antidepressivi si adottano in caso di depressione latente, e magari anche conclamata se è per questo ;), intuizioni che troviamo sostanzialmente condivisibili, ma in merito alle quali ci sentiremmo di esprimere qualche precisazione. Nel post Limiti, fatti salvi gli effetti del cosiddetto "gene dell'autoaffermazione", come molle principali verso la Mutantropia abbiamo indicato la frustrazione e il senso di handicap, ovvero ciò che Simo sembra chiamare "non accettazione della condizione umana" e, proprio per questo motivo, abbiamo terminato il post dichiarando che "tutti gli uomini sono handicappati". Ma attenzione! molla verso la Mutantropia, non causa di depressione. La mutantropia è, insieme al controllo dell'ambiente (fino all'osnoblosi), una delle strategie naturali che l'uomo innesca per ottenere vantaggi, infatti sappiamo bene che nella stramaggior parte dei casi l'esito sfocerà nella cosiddetta dinamica Mutantroposnoblotica.

 
Le società moderne adottano una sorta di guanciale sociale piccoloborghese come strategia per far fronte alla sequela di fallimenti e apateporie tipica di tale dinamica, consentendo alla maggioranza dei soggetti una certa stabilità psicologica. Il regno del conformismo. Nondimeno c'è una certa percentuale di persone in cui, per ragioni oggettive o per particolari sensibilità personali, la suddetta sequela porta con sé stati d'ansia causati da atiquifobie e apatepofobie. Ne L'Atteggiamento Osnoblotico abbiamo imputato queste ultime come causa degli "stati mentali negativi e perdenti, segno di un disagio psichico che può arrivare alla depressione". Infatti essa è una sorta di extrema ratio, che arriva dopo il fallimento di tutte le tecniche anestetiche e autosnoblotiche che l'uomo ha potuto provare su se stesso, nei limiti della sua coscienza,


Quindi, per tornare all'Uomo Gatto, cosa pensiamo sia successo? In seguito alla sua formazione culturale da nativo americano, il signore in questione (intenzionalmente non vogliamo scriverne il nome) ha adottato un animale totemico. Perché? Certamente per le ragioni sopra esposte: risolvere il senso di handicap, andare oltre "la condizione umana (per definizione fragile e irrisolta)". Questa è stata la sua via alla Mutantropia e a ognuno le sue pratiche e i suoi rituali. Per alcune persone, deboli o impressionabili, qualche piccolo ritocchino estetico, quindi esteriore (da notare come entrambi i termini comincino con este), aiuta l'immaginazione e la capacità (interiore) di immedesimazione. Ovvero di vivere l'esperienza sinestetica estrema, nella propria carne ed eventualmente nella propria anima, traendone insegnamento.

Il problema dev'essere sorto quando quest'uomo, anziché sviluppare gli stati di coscienza che un animale totemico - se azzeccato - porta a chi lo adotta, si è fatto ipnotizzare, diciamo etimologicamente sedurresviare, dall'effetto sociale del ritocchino. E l'ha amplificato, rendendolo sempre meno "ino". Un novello Lucifero/Narciso che anziché amare la Creazione e il Creatore, ha amato la creatura, cioè se stesso, il successo della propria immagine. Quindi egonanismo e osnoblosi sociale singolarmente ridicola (come si può convincere gli altri di essere davvero un gatto?) in grado di creare un "mostro" soggetto alle apateporie del mutaforma. Il succedersi delle quali gli ha dato una certa presa di coscienza, che a sua volta probabilmente l'ha portato a vergognarsi di se stesso.


Cioè a un certo momento ha ceduto l'altra dinamica, quella anestetico-autosnoblotica, e la verità in tutto il suo orrore si è rivelata eccessiva, inaffrontabile. Si scriveva ne Il Metantropo: "L'apateporia è così benvenuta laddove essa permette un autoesame, ovvero quando il dolore che porta non è tanto insopportabile da dover richiedere pratiche anestetiche e la dinamica con cui essa s'è presentata è comprensibile, cioè interpretabile secondo lo stato di coscienza del soggetto". Laddove il dolore è eccessivo, invece...


Ma almeno il signore in questione il suo momento di celebrità l'ha vissuto! E vi garantiamo che fra gli scriventi, come probabilmente fra molti lettori, c'è chi non ha avuto nemmeno quello... e com'è che costoro non si sparano? Beh, a prescindere dal fatto che un simile evento in futuro non è completamente da escludersi, riteniamo che la più efficace arma contro la depressione sia la percezione consapevole della propria funzione all'interno del sistema macrocosmico (a suo tempo si è anche parlato di entanglement quantistico), insomma l'aver interiorizzato il perché siamo al mondo. In fondo la depressione è uno stato egotico: presume la solitudine di un'anima assolutamente autoreferenziale, ma non in grado di reggersi sul piedistallo che s'era immaginata, quando invece per la corretta autopercezione essa non può prescindere dal sistema fisico e metafisico, certamente olistico, di cui ognuno di noi fa parte.


Ma, cosa ancora più importante, ciò deve avvenire secondo uno stato di coscienza proprio, personale, a cui fare riferimento. È quindi responsabilità dell'anima un'azione "attiva" nei confronti dell'ambiente, di inserimento cosciente e spontaneo in senso armonico. Non dev'essere una scelta altrui o un'imposizione, altrimenti si cade nel conformismo, altro potente sebbene disumanizzante antidepressivo.

Riassumendo: mutamento senza atiquifobie e apatepofobie per evitare la depressione, ma schivando egonanismo e conformismo, i due grandi nemici della Mutantropia Evolutiva, a sua volta una necessità dell'anima favorita dalla Sinestesi. 
Come? Mutantropia necessità dell'anima? Davvero?

15 novembre 2012

Apateporia della Settimana: la Mutantropia, specie se stupida, non salva dalla depressione

Notizia sconcertante di questi giorni è la morte di quel gran vanesione, quindi egonanista, dell'Uomo Gatto, buffo mutaforma sottopostosi a decine di operazioni per somigliare ad un felino. 
Pare fosse depresso. 
Beh, soprattutto nei momenti di solitudine, guardarsi allo specchio ridotto in quello stato dev'essere stato sconfortante. Ridicole apparenze ancora più imbarazzanti perché innestate su una cultura da nativo americano.
Ebbene, viene da chiedersi che tipo di Mutantropo fosse quest'uomo, pace all'anima sua. La sua era Mutantropia Evolutiva o piuttosto oscurata da conformismo e/o egonanismo? Beh, bizzarro com'era (più che originale) non gli si può certo dare del conformista, ma di persona con un ego malato e sofferente crediamo proprio di sì. Egopatico, dunque.

Ricordiamo ai nostri affezionati lettori che nel post Il Metantropo, o della Benvenuta Apateporia, abbiamo avuto modo di scrivere: "Di questo si rende conto ben presto il mutantropo, attraverso un processo che si definisce apateporia del mutaforma, o del mutaspetto esteriore. Perché si muta la forma o l'aspetto esteriore? La maggior parte dei mutantropi lo fa [...] per provare l'ebbrezza [egotica, ndr] di un aspetto nuovo, i pochi rimanenti si dividono tra chi lo fa per ragioni pratiche, come il portatore di handicap che diviene cyborg, e chi a seguito di un cambiamento di stato di coscienza. Certamente il primo tipo, colui che cambia per noia o per gioco, quando non per amore di sè (egonanismo), è destinato ad incorrere in un'apateporia. Si renderà conto ben presto che il vero cambiamento è quello interiore, così come il vero mutantropo è interiore, e il cambiamento della forma esteriore è essenziale solo se conseguenza di un mutamento di stato di coscienza".

Insomma temiamo che l'Uomo Gatto sia morto quando si è reso conto che il suo Mutantropo interiore era solo un povero pirla. O forse, peggio ancora, quello interiore poteva anche essere cresciuto (come avrebbe potuto giudicarsi male altrimenti?), mentre quello esteriore si era intanto ridotto alla patetica pantomima di un archetipo colto in un momento di intuizione, di elevazione, ma probabilmente persosi per strada. Che valore può avere qualcosa che esteriormente ti trasforma in un essere grottesco? Requiescat in pace, ma sia da monito per noi tutti!

E che dire di Steve Haworth, il non meno egotico "artista" suo Pigmalione? Starà dormendo sonni tranquilli? Bah.