5 ottobre 2015

L'Eccezionalità del Bene


Carissimi e a quanto pare intimiditi lettori (che fine hanno fatto i commenti?), il passaggio delle recenti festività ebraiche ci ha suggerito di approfondire certi concetti esposti nel nostro precedente post sulla responsabilità culturale, perché dire che Ligabue fa schifo è troppo facile e comunque non basta. Parleremo allora di un'intellettuale ebrea del recente passato, Hannah Arendt, scrittrice, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense, donna coraggiosa nel perseguire la verità contro ogni tornaconto personale ma soprattutto ogni conformismo, incarnando uno dei pochi esempi di autentica Mutantropia evolutiva del suo/nostro secolo. Per la sua biografia prendiamo come riferimento quella del sito filosofico.net, oltre al capolavoro cinematografico omonimo di Margarethe von Trotta.

Nata ad Hannover nel 1906, studentessa brillantissima, negli anni '20 a Marburgh diventa amante di Heidegger, il filosofo dell'esistenzialismo ontologico, purtroppo mai veramente fermo nel condannare il nazismo. "Il pensiero è quella silenziosa conversazione che c'è fra me e me stesso", si cita nel film. Sposatasi due volte, amica dello scrittore Walter Benjamin da noi amato per il suo saggio L'Opera d'Arte nell'Epoca della sua Riproducibilità Tecnica, durante il secondo conflitto mondiale diventa una rifugiata di guerra senza diritti politici prima a Praga, poi a Parigi, poi ancora a Lisbona. Nel 1941 riesce fortunosamente a fuggire negli Stati Uniti, dove non cambierà il suo status almeno per altri 10 anni, cioè fino a quando il governo americano non le concederà la cittadinanza. Lo stesso anno pubblica il fondamentale The Origins of Totalitarianism (“Le origini del totalitarismo”), frutto di un’accurata indagine storica e filosofica. Arriva così a giudicare la cosiddetta "ideologia" come uso indebito della facoltà razionale umana, quindi potenziale origine di ogni attività totalitaria, insomma un brutto effetto della razionalità finalizzata al proprio tornaconto, all'egonanismo. Afferma filosofico.net: "la mente gioca con se stessa: l'atteggiamento ideologico, privo di un vero ideale, assolutizza la facoltà logica facendola esorbitare dai suoi limiti costitutivi, in modo tale da costruire una pseudo-realtà, impermeabile all'esperienza della realtà autentica, al cui interno vige la pretesa di spiegazione totale che nega, di fatto, la vocazione della natura umana alla libertà di iniziativa" mutantropica, aggiungeremmo noi.

Ma la vera svolta nella sua vita avverrà dopo altri 10 anni. Nel 1961, infatti, in qualità di inviata del settimanale New Yorker, assiste a Gerusalemme al processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann. Il resoconto di questa esperienza viene inizialmente pubblicato a puntate sulla rivista newyorkese e successivamente proposto in forma unitaria nel 1963, con il libro Eichmann in Jerusalem: a Report on the Banality of Evil (in italiano La Banalità del Male: Eichmann in Gerusalemme). Un'opera in sé ai limiti del pedissequo, se non fosse per il suo stile di scrittura unico per vivacità e irruenza, ma da un certo punto di vista altro non era che la trascrizione degli eventi processuali cui ha assistito, talvolta accompagnati da commenti e impressioni. Eppure... l'opera arrivò a scatenare un vespaio di polemiche così intense e rancorose da portarla, nel giro di pochi anni, al quasi totale isolamento specie in seno alla comunità ebraica internazionale.

Sostanzialmente ciò che veniva considerato pietra dello scandalo erano due sue osservazioni: l'aver considerato Eichmann non un genio del male, bensì un grigio burocrate (da qui la "banalità" del suo operato), e aver adombrato il sospetto di corresponsabilità nell'operato dei capi comunitari ebrei durante il nazismo, secondo lei in certi casi possibilmente collaborazionisti. Apriti Cielo: le comunità ebraiche di tutto il mondo, a cominciare da quelle americane, cominciarono a lanciare minacce e insulti prima in direzione del New Yorker, poi direttamente della sua persona. E alla fine lei perse la stima della varie intellighenzie internazionali, ovvero degli ambienti intellettuali, ma anche dell'opinione pubblica, persino dei suoi amici più stretti.

Da un certo punto di vita la cosa era comprensibile: non erano passati vent'anni dalla fine della guerra e da quel dramma epocale chiamato Shoà (così come oggi tutti ricordiamo cosa successe nella seconda metà degli anni '90) e per le comunità ebraiche assetate di giustizia, se non proprio di vendetta, e comunque coerentemente al loro credo, la responsabilità del singolo era tutto. Insomma era inaccettabile pensare che il "grigiore" di un conformista (vedere le caratteristiche del mutantropo grigio nella nostra matrice mutantropica) potesse solo minimamente scagionare un criminale nazista dalle sue responsabilità. Così come era necessario apparire vittime di questa tragedia, il solo sospetto di una complicità ebraica era incompatibile. Illuminante, in tal senso, il parere di Benjamin Murmelstein, ultimo presidente del Consiglio Ebraico del ghetto di Theresienstadt (o Terezin), magistralmente intervistato nel 1975 da Claude Lanzmann per quel capolavoro di cinematografia documentaria (per il soggetto più che per la regia) che è stato L'Ultimo degli Ingiusti, del 2013. Un altro personaggio inferocito con la Arendt, anche perché - a suo dire - assolutamente incolpevole. In effetti, schiacciati sotto il tacco della violenza nazista, i capi ebrei dovevano ingegnarsi nelle più sottili arti diplomatiche per poter preservare le loro comunità o almeno evitare i più gravi danni.

Insomma, nel merito non è detto che Hannah Arendt avesse ragione al 100% ma, come giustamente si deduce dal film, il problema non fu di merito ma di metodo. Se una grande intellettuale, una delle maggiori del suo secolo, ha un sospetto, un'intuizione, se ne può parlare pacificamente? Può esistere un confronto su opinioni adeguatamente argomentate che esuli dal pregiudizio e da una verità storica imposta per opportunità (si veda il nostro post sull'osnoblotizzazione ontologica della storia) - per quanto questa sia vista come necessaria - confronto unicamente orientato alla conoscenza della Verità (ci si perdoni la maiuscola)? Si può insomma affrontare un problema al di fuori di ogni interesse personale e conformismo, senza la paura della gogna intellettuale ancor prima che mediatica? Cosa costa a un pensatore, come a ognuno di noi se decidiamo di assumere un'opinione personale, il diritto di percorrere la via della Mutantropia Evolutiva? Inutile dirlo, secondo lei costi quel che costi, foss'anche la stima del suo secolo e il quasi completo isolamento.

Intorno al cinquantesimo minuto del film una Hannah Arendt insegnante di filosofia imbevuta dal pensiero di Heidegger sembra darci torto, per poi darci incredibilmente ragione. Infatti insegna: "la tradizione occidentale risente di un grande pregiudizio, e cioè che il male peggiore che l'umanità possa commettere sia determinato unicamente dai vizi dell'egoismo. Ma nel nostro secolo abbiamo avuto la prova tangibile che il male è riuscito a radicarsi nel profondo delle nostre anime e oggi noi possiamo affermare che il male peggiore, chiamato anche male radicale, non ha assolutamente più niente a che vedere con motivi così umanamente comprensibili e peccaminosi come l'egoismo. Anzi, io direi che ha a che vedere con il seguente fenomeno, e cioè convincere l'uomo di essere superfluo in questo mondo in quanto uomo. Tutto il sistema dei campi di concentramento era unicamente finalizzato a convincere tutti i prigionieri che erano uomini superflui, prima di sterminarli con il gas. Nei campi di concentramento le persone dovevano imparare che una punizione non era necessariamente causata da una disobbedienza. Che lo sfruttamento non doveva generare profitti per nessuno e soprattutto che il lavoro non ha bisogno di produrre alcun risultato. Il campo di prigionia è un luogo dove ogni azione e ogni impulso diventano per principio privi di senso. In altre parole un luogo dove viene creata l'insensatezza. Riassumendo: se noi possiamo affermare che negli ultimi momenti del totalitarismo compare per la prima volta il male assoluto, assoluto perché ormai non è più riconducibile a motivazioni umane, noi possiamo dichiarare con certezza che senza di esso, cioè senza il totalitarismo, questa radicale natura del male noi non l'avremmo mai conosciuta". 

Bene, come già illustrato nel post Osnoblosi, secondo noi il fenomeno così chiamato ricrea, per le moderne società sedicenti democratiche, quello che ha cercato di fare il totalitarismo tramite il pensiero unico a suo tempo, ovviamente mutatis mutandis. Quindi grazie Hanna Arendt per aver vissuto, per il tuo pensiero e per il tuo coraggio, sei stata in grado di incarnare l'eccezionalità del Bene. Ma personalmente aggiungeremmo grazie per averci spiegato che l'osnoblosi è persino peggio dell'egonanismo. Grazie.

9 commenti:

  1. Scusate la critica, che però non tocca il merito di questo importantissimo post. Ma L'Ultimo degli Ingiusti è tutt'altro che un "capolavoro di cinematografia documentaria", anzi, Lanzmann sembra veramente fuori forma, la sua presenza lenta e greve contraddice ogni regola di buona regia e appesantisce oltre misura la visione dell'opera. Nulla di personale, eh?

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    1. Mamma mia Ernesto che caratteraccio che ttieni! Cosa dobbiamo dirti? Che hai ragione, non è la regia il punto forte dell'Ultimo degli Ingiusti. E' il soggetto feroce, straziante, vividissimo nella testimonianza infervorata e incredibilmente lucida di Benjamin Murmelstein, persona che nonostante la ragguardevole età riesce a trasmettere intatto il genio e la passione con cui ha condotto il suo lavoro ai limiti dell'impossibile.
      E noi con lui ci preoccupiamo, soffriamo, ci indignamo, insomma riusciamo ad avere una vera esperienza sinestetica imparando così nel modo più duratutro, cioè attraverso le emozioni (nota bene: vere, non costruite ad arte), un pezzo di storia assolutamente poco conosciuto.
      Cosa vuoi che facciamo? Va bene la formula "capolavoro non di regia"? Mamma mia che precisini quando vi ci mettete......

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    2. Va bé, per questa volta mi accontento, ok ;)

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  2. Posso proporre una provocazione? Quindi il lavoro della Arendt è andato nella direzione giusta? Una presa di coscienza per il popolo ebraico? E per cosa, per massacrare meglio i palestinesi?

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    1. Cara Alessandra, vorremmo tanto darti il benvenuto, ma questa non è nemmeno una provocazione, è una semplice mink1°§@ta.
      Risolvere la complessità del conflitto mediorientale con la facile etichetta "massacrare i palestinesi" non è nemmeno in mala fede, è semplicemente da ignorante manipolato.
      Cara Alessandra, finché non ragionerai con la tua testa, magari a ragion veduta, qui dentro hai poco a che spartire. In ogni caso, come diceva l'antico adagio? Se i soldi non fanno la felicità, figurati la miseria.
      Bene, per rispondere alla tua domanda attualizzalo: se la consapevolezza (storica e sociale) non basta alla pace, figurati il pregiudizio e l'ignoranza...
      (PS: la conosci la differenza fra una condizione necessaria e una sufficiente, vero?)

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  3. No no signori Tecnesia, non vi seguo! Cosa vuol dire? cosa centra la differenza fra condizioni, la felicità, e la consapevolezza storica? Se dobbiamo sempre capire, sempre accogliere, sempre comprendere (cioè prendere, e sappiamo dove) allora dobbiamo accettare questa invasione islamica senza poter dire nulla.
    No, no e 1000 volte NO! Questa gente rappresenta un rischio per le nostre comunità. Guardate il video
    https://www.youtube.com/watch?v=YJeLM8W3jZ0&feature=share

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  4. Scusa Aurobindo, ma senza voler minimizzare i rischi legati a un'immigrazione incontrollata, non possiamo approvare simili discorsi, che non appartengono al blog Technesya.
    C'è gente che non ti piace? Normale, capita anche a noi. Ma non creiamo nemici pubblici e fantasmi, non istighiamo odio o minacce.
    Incoraggiamo il cambiamento tramite la Sinestesi, questo facciamo. Pensando di fare del bene al nostro secolo decadente e perso nel nulla.

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  5. Scusate, una domanda: perché parlare di un'oscura intellettuale straniera? Non abbiamo abbastanza intellettuali in Italia?
    Quest'anno ad es. cade il quarantesimo dalla morte di Pasolini, perché non gli dedicate qualcosa? Avete paura o non vi sentite all'altezza?

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  6. Caro federico, ti chiediamo scusa noi ma noi dividiamo le idee in base al loro valore oggettivo (ovviamente secondo il nostro stato di coscienza), non secondo la nazionalità di chi le espone. Per noi non esistono italiani o stranieri, ma pensanti e cretini ;)
    Per quanto riguarda il maestro PPP, troppo spesso citato ma mai abbstanza letto, se appunto l'avessi fatto sapresti che tutto il nostro blog è pregno delle sue idee. Per ora gli abbiamo dedicato due post su Facebook:
    https://www.facebook.com/RobertoSavianoFanpage/photos/a.402350881863.180175.17858286863/10153234667776864/?type=3
    http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/27/pier-paolo-pasolini-sei-mesi-di-eventi-a-bologna-a-40-anni-dalla-morte/2072750/ (articolo del fatto Quotidiano condiviso)
    Più un'altra condivisione di un articolo forse generico nella forma, ma inequivocabile nel contenuto: http://www.corriere.it/la-lettura/15_settembre_13/sogno-intellettuale-nuovo-che-abbia-coraggio-dire-no-508d38b0-5a34-11e5-b420-c9ba68e5c126.shtml

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