12 aprile 2012

Fisica

Nel corso della vita è normale che ogni uomo venga prima o poi folgorato da una domanda: da dove viene il mondo?

Durante il corso della storia sono stati in molti, ognuno con il proprio talento e discernimento, a cercare di dare delle risposte e per poterlo fare iniziarono ad osservare la realtà, il dato di fatto compiuto, nelle sue manifestazioni. I mutamenti ciclici del tempo, delle stagioni e della vita del singolo elemento, i rapporti sociali dei gruppi e soprattutto gli imprevedibili fenomeni naturali che travolgevano l’umanità, con violenti uragani piuttosto che maree improvvise, di cui non conoscevano la provenienza nè la causa.

Gli esseri umani fondamentalmente iniziarono a prendere coscienza della propria individualità e del valore della propria vita, ma con esse anche della paura. La paura dell’ignoto. L’inesorabile che accade ciclicamente e si manifesta al di là di qualunque aspettativa e prerogativa umana.

Per quanto si possa tecnicamente controllare un fiume prima o poi esonderà, travolgendo e distruggendo, quasi annullando, tutto ciò che è stato faticosamente costruito prima. In compenso vivere su una montagna non cambia di certo le cose. Prima o poi a quel millenario pezzo di roccia, forte, sicuro, grande ed esteso, su cui è stata costruita un’enorme casa, basterà una piccola scossa di terremoto per far implodere tutta quella apparente eterna solidità in un cumulo di rovine.

Si tratta di una legge fisica irreversibile, incondizionata e ineffabile della natura del cosmo.

Il mondo funziona sull'unica condizione che, il sistema complesso a cui appartiene la vita biologica, ubbidisca alla legge del mutamento ciclico che si manifesta attraverso la nascita, lo sviluppo e poi il disgregamento della materia. Anche l’universo è un sistema complesso e come tale ubbidisce alla stessa regola, ma per il singolo essere umano provare a comprendere lo schema del meccanismo completo a cui fa riferimento è un’impresa impossibile.

La caducità umana, la sua stessa composizione organica, gli impediscono d’avere il tempo materiale per comprendere l’infinito in tutto il suo spazio. E questo a causa di un’altra  semplice regola: l’universo non è vuoto e non è statico.

L’uomo può quindi osservare i fenomeni che riesce a comprendere attraverso la propria esperienza e compiere ricerche su di essi. Può successivamente stabilire discipline che studieranno le ricerche effettuate e i parametri della scienza che le guida per individuare le necessità pratiche a cui applicarli, ma può anche scoprire che non ci capisce un bel nulla di niente e così dichiara che se funziona ed è sempre riproducibile allora è tutto vero, altrimenti è forse interessante, ma nella maggioranza dei casi risibile. Chissà come si è sentito Gottfried Wilhelm von Leibniz quando verso la fine del 1600 se ne uscì fuori con il suo codice binario... Ci sono voluti 400 anni per scoprire che quel codice, da sempre bollato dal collettivo accademico coro come “stravagante chinoserie”, permetteva invece lo sviluppo dell’hardware necessario ai nostri tanto indispensabili ed amati computer.

Durante il corso delle sue svariate ricerche scientifiche l’umanità ha infine scoperto alcune cose molto interessanti. Concentrandosi sugli studi di fisica atomica si è accorta che colui che osserva gli esperimenti è in grado di influenzare l’esperimento stesso (l’osservatore influisce sul moto della materia) e successivamente ha concluso anche che il cervello ha uno strano modo di tradurre le informazioni che riceve.

I ricercatori scientifici si sono recentemente resi conto che guardare un oggetto attiva determinate aree cerebrali e che se si chiudono gli occhi per immaginare il medesimo oggetto, ecco che si attivano le stesse identiche aree di prima. Sostanzialmente il cervello non capisce la differenza fra ciò che succede fuori nel reale e ciò che accade dentro il cervello stesso.

Premettendo che gli esseri umani sono costantemente bombardati da una serie di informazioni che passano attraverso i loro organi di senso e che i dati vengono costantemente elaborati, filtrati ed eliminati in una sempre maggiore quantità man mano che raggiungono i centri cerebrali, ne risulta che solo una piccolissima quantità di queste informazioni, considerate più utili nella norma collettiva, raggiungono lo stato di coscienza in cui “ci si accorge delle cose”. Questo processo evita appunto di rimanere invischiati nel collasso dei significanti.

E’ quindi possibile e più che plausibile che i nostri occhi, le cineprese organiche di cui il nostro corpo è dotato, vedano molto più di quello che il nostro cervello riconosce. Il cervello umano risulta cablato in modo che veda la realtà solo come ritiene che sia possibile essere e non necessariamente per ciò che è davvero. Risponde meccanicamente a schemi preesistenti dettati dai condizionamenti esterni.

L’aneddoto storico su Cristoforo Colombo e gli indigeni caraibici è noto: quando i velieri arrivarono nelle Americhe, la popolazione non era in grado di riconoscerli, persino di vederli, poiché erano diversi da qualunque cosa avessero mai visto ed incontrato prima. Fu lo sciamano, l’uomo il cui grado nelle comunità primitive ricopre quello della scienza, ad accorgersi che l’oceano era increspato in uno strano modo e a porsi la domanda su cosa ne stesse causando l’effetto (il paradosso di cui al precedente post). Osservò il fenomeno per giorni ed infine le forme delle navi si delinearono all’orizzonte. A quel punto ne informò il resto della popolazione che, ascoltandolo, tradusse le parole in immagini cerebrali divenendo in grado a sua volta di vedere i velieri sulle acque del mare.

Ma se il cervello non è letteralmente in grado di vedere ciò che non concepisce, è quindi il cervello ad essere il vero organo della vista. Non gli occhi. 
Gli occhi sono solo uno strumento di rilevazione. 

Una domanda allora diviene lecita: cos’è la realtà? Esiste a prescindere da noi che la osserviamo, oppure siamo noi a crearla?

Nel campo delle discipline scientifiche si può solo ricercare osservando la successione dei fenomeni per attribuire ad essi schemi precisi, ma ogni essere umano rappresenta comunque uno stato di coscienza soggettivo, limitato da ciò che il cervello è in grado di tradurre.

All’umanità piace pensare che lo spazio sia vuoto e che la materia sia solida, ma in realtà la materia è fatta di niente ed è del tutto inconsistente. Un atomo è un continuum di materia, molto densa al centro, circondata da un nugolo di elettroni che appaiono e scompaiono senza una regola apparente, ma persino il centro, seppur così solido e concentrato, appare e scompare proprio come gli elettroni e sembra prendersi gioco di ogni razionalità.

Come spiegare il funzionamento dell’universo se non possiamo nemmeno stabilire se la realtà è oggettiva? Ma davvero esiste una legge universale, un’unica regola, che è uguale per tutto e tutti nello stesso modo definendo per cui la stessa identica realtà?

Einstein parlava di un’energia altamente specializzata su diverse funzioni, la scienza a tutt’oggi sta ancora cercando le prove per poterla definire e schematizzare.

2 commenti:

  1. Stesso, stessa, stesso, e ke vi è successo qui? Avete disimparato a scrivere? Sembra un verbale dei karabbigneri! ;D

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    1. Caro HAHAHA,
      ci dispiace non poter essere all'altezza dei tuoi rigorosi canoni semantici, grammaticali e logici ma,
      visto il tuo altissimo livello intellettuale e accademico, aspettiamo sempre con ansia i tuoi commenti!!
      Grazie e scrivici ancora
      ;D

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