Più volte abbiamo affermato che l'arte è ancella dell'anima. Altrimenti più prosaicamente e modernamente dovremmo dire che siamo abbastanza d'accordo con la definizione che ne dà Wikipedia, per quanto più "operativa" che estetologica. Da quel punto di vista potremmo citare la formatività del Pareyson o il Nanni, per cui arte è tutto ciò che viene usato dal nostro secolo come arte, sorvolando bellamente sulla sconcertante tautologia. Preferiamo una nostra modesta convinzione, ovvero che è arte qualunque prodotto culturale proposto con intenzione polisemica da un artista (arte-fattore o teorico dell'arte poco importa), al fine di sfidare le categorie estetiche della sua epoca. Definizione che ci pare appropriata, ma ancora povera. Il problema è che questo secolo è così decadente da arrivare a considerare arte persino la pubblicità o l'ultimo videogioco.
Perché è avvenuto ciò? Probabilmente perché ci siamo dimenticati della sua definizione platonica, poi dantesca e medievale, che forse è stata l'ultima veramente coerente con le esigenze imprescindibili della specie umana, ovvero arte come ancella dell'anima. Ma qui ci addentriamo nel ginepraio di una categorizzazione veramente capziosa, e non tanto per il termine ancella, da dizionario "schiava al servizio di una matrona, donna al servizio o al seguito di qualcuno". Insomma l'arte non come fine, ma come mezzo, come aiuto, servizio all'anima, in grado di risvegliarne potenzialità latenti, in grado di favorirne evoluzioni e sviluppi. Il problema, piuttosto (e purtroppo), nasce dal tentativo di definire l'anima.
Il dizionario della lingua italiana proprio non ci aiuta, arrivando AL PIÙ alla dicotomia cartesiana anima-corpo, definizione che ripugna ogni intelligenza e da allora contestata da decine di filosofi e pensatori, ma a cui l'epoca moderna non è stata ancora in grado di porre rimedio. La definizione che ne dà Wikipedia aggiunge confusione a confusione: "tipicamente si pensa che consista della coscienza e della personalità di un essere umano, e può essere sinonimo di «spirito», «mente» o «io»". Che evidente errore: se l'anima coincidesse con uno di questi 5 concetti (li ripetiamo volentieri: coscienza, personalità, spirito, mente, io), perché mai dovrebbe avere un altro nome? Possibile che, fuori da un'assurda identificazione con lo «spirito» (umano, immaginiamo noi), l'anima debba essere "limitata" al Manas, al pensatore interiore di memoria indù? Come già dicemmo a proposito della definizione di Metantropo, è veramente curioso come qualunque determinazione di vero valore riguardante l'essere umano sia stata come dimenticata, accantonata, proprio abbandonata dall'epoca moderna, relegando il "portatore di immagine divina" (o almeno così la più antica religione del Mediterraneo definisce l'uomo) a mero consumatore acritico. Al più al nuovo mito del dopoguerra: l'imprenditore. Tertium non datur.
Ma nemmeno ci aiutano le varie scienze psicologiche, dall'etimo ψυχή (psyché) = anima, appunto, poiché focalizzano il problema su un immaginario equilibrio interiore dell'uomo fattosi paziente, nel tentativo di placarne l'inquietudine e normalizzarne i rapporti sociali. Lo psicanalista allora è un amico che consiglia, come un curato di campagna, mentre lo psichiatra è il poliziotto che corregge con la potente arma dello psicofarmaco. Lo ripetiamo: l'unica "psicologia" che ci sembra umanamente accettabile è quella junghiana, nella misura in cui contempla l'archetipo nella strutturazione ancestrale della nostra psiche. Purtroppo in occidente le ultime cose profonde sull'anima le hanno scritte gli alchimisti o, al più, la medicina spagirica. Da allora sono passati 3-400 anni di scientismo che, facendo confusione su certe questioni, ci ha in compenso regalato il sistema produttivo che tutti apprezziamo tanto. :)
Secondo alcune dottrine tradizionali di derivazione ermetica, l'anima si compone di 5 fluidi, secondo altre di tre aspetti (il celebre Trigonum Igneum), secondo altre ancora si divide in due poli (anima-sangue e anima spirituale), ma di certo c'è una cosa: l'anima è sostanzialmente un intermediario, l'unica modalità che il nostro mondo interiore, il summenzionato Manas, ha di relazionarsi con lo Spirito. Un indù ora ci chiederebbe "ma cosa intendete per spirito, Buddhi o Atman?", complicando ulteriormente un post che non ha ambizioni metafisiche. Ma è comunque chiaro che, nell'ambito normale di un essere umano, l'anima cresce, si evolve e giunge a maturazione laddove esposta al “sole dello Spirito”.
Già, ma che fare quando ciò non avviene?
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L’anima la si ha ogni tanto. Nessuno ce l'ha di continuo e per sempre. Senza di lei possono passare un giorno dopo l'altro, un anno dopo l'altro. A volte nidifica un po’ più a lungo solo nell'estasi e nelle paure dell’infanzia. A volte solo nello stupore dell’esser vecchi.
RispondiEliminaDi rado ci dà una mano in occupazioni faticose, come spostare mobili, portare valigie o percorrere le strade con scarpe strette. Quando si compilano moduli e si trita la carne, di regola lei ha il suo giorno libero.
Su mille nostre conversazioni partecipa a una, e anche a questa non necessariamente, poiché preferisce il silenzio.
Quando il corpo comincia a farci veramente male, smonta di turno, alla chetichella.
È schifiltosa, non le piace vederci nella folla, il nostro lottare per un vantaggio qualunque e lo strepitio degli affari la disgusta.
Gioia e tristezza non sono per lei due sentimenti diversi. È presente accanto a noi solo quando questi sono uniti.
Possiamo contare su di lei quando non siamo sicuri di niente e curiosi di tutto. Tra gli oggetti materiali le piacciono gli orologi a pendolo e gli specchi, che lavorano con zelo anche quando nessuno guarda.
Non dice da dove viene e quando sparirà di nuovo, ma aspetta chiaramente simili domande. Si direbbe che così come lei a noi, anche noi siamo necessari a lei per qualcosa.
:) http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=USb02XFcflo
RispondiElimina:)
RispondiEliminahttps://www.youtube.com/watch?v=pKAwNU1zdqQ