28 gennaio 2013

Confronto Sinestesico parte I


Un lettore invoca aiuto per riuscire a distinguere cos'è Sinestesi e cosa no. Lo facciamo volentieri premettendo che, perché si tratti di Sinestesi, deve come minimo trattarsi di arte sedicente sinestetica, noi preferiamo la formula "a fini sinestetici", normalmente multimediale. Insomma un quadro o un brano musicale in linea di principio non sono sinestesici, perché comunicanti monosensorialmente, oltre ad essere frutto del lavoro di un singolo artista.

Tra le varie proposte di "arte a fini sinestetici" che ci circondano, ne abbiamo scelte due molto diverse fra loro: il lavoro di Marina Abramović e quello di Flavia Vallega Krystael.
Cominceremo esponendo i punti in comune:
- sono due donne, sesso che è storicamente poco presente nell'arte
- cercano di produrre arte sinestetica, o con tali fini, per quanto apparentemente "solo" bisensoriale (vista e udito)
- tutte e due puntano molto sulla presenza "scenica" dell'artista, un corpo attivo e significante
- entrambe cercano di andare oltre la percezione primaria, ovvero si adoperano per raggiungere ciò che si può definire “colloquio con l'anima".

Quest'ultimo punto è estremamente importante. Le artiste implicitamente si dichiarano entrambe scontente, insoddisfatte del livello di coscienza ordinario a cui normalmente porta la proposta estetica contemporanea, ed entrambe cercano di forzarlo con un'arte a fini sinestetici. Si tratta di una condizione necessaria: se l'artista si accontentasse dello shock o della sorpresa, come succede nella stra-maggior parte dei casi, la sua proposta non dovrebbe nemmeno essere confrontata con la Sinestesi, che appunto appartiene a tutt'altro livello. 

Livello al quale, apparentemente, Marina Abramović si è attenuta per anni. Serba, classe 1946, diplomata all'Accademia di Belle Arti di Belgrado, propone i suoi primi lavori nel 1973. Sono opere estreme, installazioni in cui il corpo è protagonista assoluto, ma quale corpo? Il portatore di immagine divina? Il sistema perfetto portatore di coscienza dalle indeterminate possibilità di manifestazione nel cosmo? No. Di carne si raffigura l’immagine, di corpo materiale si parla, che può essere ferito e sanguinare (1973), devastato e stuprato (1974), soffocato fino all'incoscienza (1974), sfregiato da continue spazzolate (1975), ingozzato/rasoiato/fustigato poi ribollito e congelato (1975), esaurito da 8 ore di danza (1975), svuotato di memoria (1976) e piegato in una posa sgraziata a emettere un sordo rantolo d'aiuto (1976). Vorremmo dire "infine", ma questa simpatica poetica ha avuto una coda nel 1990, in cui questo fortunatissimo corpo ha avuto l'irripetibile occasione di farsi divorare da pitoni affamati in un ambiente di ghiaccio. 

Da Wikipedia: "Freeing The Body (1975), Freeing The Memory (1976) e Freeing The Voice (1976) sono una serie di esecuzioni in cui Marina Abramović si prefigge il fine di purificare il proprio corpo e la propria mente e di scivolare in uno stato di incoscienza; nella prima muove incessantemente il proprio corpo fino a crollare a terra; nella seconda riprende parole dalla propria memoria fino a non ricordare più nulla e nella terza urla fino a perdere la voce".

Esperienze certamente sinestetiche, quindi, ma solo per lei. Per i suoi spettatori invece molta angoscia, tensione, apprensione, malesseri, tutto ciò che altrove abbiamo chiamato stimolazione di atiquifobie e apatepofobie.

Nel 1976 avviene una prima svolta dopo l'incontro con il performer tedesco Ulay. Diventando il suo compagno nella vita, lui le fece scoprire un grande concetto che evidentemente mancava alla sua formazione umana: l'altro da sé ;). Insieme i due esplorarono concetti come il corpo bicefalo e, successivamente, bisessuato e quindi ermafrodita. Ciò non li aiuterà granché, visto che comunque una statura intellettuale non la si improvvisa dal nulla, e infatti nel 1976 proposero Breathing In Breathing Out, performance in cui i due, bocca a bocca, respiravano la stessa aria fino ad esaurirla di tutto l'ossigeno e quindi cadere intossicati d'anidride carbonica. Tempo medio necessario a ciò: 17 minuti. Complimenti: hanno scoperto l'altro, ma non l'altro che completa, bensì quello che distrugge, scostandosi di poco dalla precedente poetica catastrofista e autolesionista. Infine nel 1988, dopo essere partiti dai due estremi della grande muraglia cinese, si incontrarono dopo una passeggiatina di 3 mesi, e 2500 km a testa, per potersi salutare definitivamente senza rancore.

L'esperienza con Ulay ebbe però l'enorme merito di cambiare qualcosa nell'animo, invero più curioso che profondo, della nostra performer, inaugurando il periodo più maturo e finalmente per noi più interessante. Ci riferiamo non tanto a Seven Easy Pieces (2005), in cui ha ricreato performance di artisti degli anni 60 e 70 reinterpretandole con la sua sensibilità, cioè sdraiata su letti di candele accese o masturbandosi sotto le assi di un pavimento su cui passavano persone, quanto piuttosto ai suoi due ultimi lavori. The Artist Is Present, presentato fra marzo e maggio del 2010, e The Abramovich Method, del 2012.

The Artist Is Present fu tenuto al Museum of Modern Art di New York durante una grande retrospettiva sul lavoro della Abramović, in realtà la più grande e importante performance mai tenuta al Moma. Nello specifico l'artista è rimasta seduta immobile per complessive 736 ore e 30 minuti, mentre gli spettatori a turno venivano invitati a sedersi davanti a lei. La tensione emotiva dell'essere di fronte una simile celebrità scatenava negli astanti ogni tipo di reazione, senza che apparentemente l'artista facesse nulla. Celebre l'espressione sinceramente commossa dell'ex compagno Ulay, che la rivede per la prima volta dopo 22 anni, ma ancor più celebre il blog "Marina Abramović made me cry", nato appositamente. Dal nostro punto di vista non si tratta ancora di grande arte, ma almeno non vengono sollecitate le paure e le apprensioni del pubblico, il quale effettivamente ha modo di vivere un'esperienza decisamente sinestetica, sebbene secondo noi ancora un po' troppo connotata di emotività. 

La performance The Abramovich Method, come recita testualmente Wikipedia, "ha avuto luogo a Milano presso il PAC di via Palestro. Il Metodo Abramovich nasce da una riflessione che l'artista ha sviluppato partendo dalle sue ultime tre performance: The House With the Ocean View (2002), Seven Easy Pieces (2005) e The Artist is Present (2010), esperienze che hanno segnato profondamente il suo modo di percepire il proprio lavoro in rapporto al pubblico che, guidato e motivato dall’artista, vive e sperimenta le sue “installazioni interattive”. Le opere – con cui il pubblico potrà interagire rimanendo in piedi, seduto o sdraiato, sono realizzate con minerali e legno. L'esperienza è fatta di buio e luce, assenza e presenza, percezioni spazio-temporali alterate. La performance consiste nell'entrare nel mondo del silenzio, lontani dai rumori, rimanere soli con se stessi e allontanarsi per poche ore dalla realtà". 

Uno spettatore portato quindi in un altrove estetico, messo a confronto con se stesso e il proprio mondo interiore con l'unico riferimento esterno che è la presenza scenica dell'artista. E qui si entra in territori da noi prefigurati nella descrizione della Sinestesi.

Ma questo post ci sembra già abbastanza lungo! Al prossimo per la descrizione del lavoro di Flavia Vallega Krystael e l'esito del confronto ;-) 

Nessun commento:

Posta un commento