12 gennaio 2014

Etica e Semplice (?) Estetica


Cari lettori, scusate se è qualche tempo che manca la tradizionale Apateporia della Settimana. Ammettiamo che la redazione sia un po' in affanno e comunque ultimamente le migliori apateporie non ci vengono certo risparmiate dal nostro caro e amatissimo governo, fra pasticci sull'IMU e richiesta di soldi agli insegnanti... Oggi però ci preme parlare di un servizio andato in onda sul Tg2 delle 20,30 di sabato 4 gennaio, un divulgativo ma comunque interessante trampolino di lancio per certi argomenti. Come forse avete intuito, ultimamente siamo più affettuosi col Tg2 (a suo tempo ironicamente definito la coscienza critica della nazione), un po' perché sembra davvero aver investito in serietà, diciamo smorzato la frivolezza, e un po' perché ha eliminato l'indegno carneade Rosario Sorrentino dalla sua programmazione. Ed in effetti il servizio in oggetto ci sembra davvero interessante perché, dopo aver parlato del mistero e, curiosamente, della riduzione a meme della Gioconda, pone in modo semplice una serie di domande serissime: quando e perché un oggetto diviene opera d'arte ? E quando e perché quest'ultima diviene capolavoro (loro dicono "un'icona")? Che rapporto c'è fra opera d'arte e simbolo? E fra quest'ultimo e inconscio collettivo (dal Tg2 giustamente denominato "immaginario popolare")?

Ora.... di certo non siamo estetologi, ma forse leggendoci avete intuito che senza una certa consapevolezza sull'argomento non si può fare una vera provocazione estetica, o perlomeno noi nemmeno ci permetteremmo di farla (nelle loro provocazioni di dubbio gusto i sig.ri Darghen d'Amico, Fedez e Mistico non sembrano porsi il problema, ma come si dice? a ognuno il suo livello! ;) Poniamo quindi una serie di punti fermi su ciò che consideriamo arte, come si forma e che rapporto ha col simbolo.

Secondo noi l'artisticità di qualunque opera (o anche idea) risiede sostanzialmente in un componente: il successo della sua provocazione estetica. Quindi:
a) ci deve essere una "provocazione estetica", cioè qualcuno deve pensare che un determinato oggetto/suono/movimento/immagine creato/a dall'uomo, quindi culturale, provochi le categorie estetiche - cioè del bello, ovvero dell'immaginario, della sensibilità e del mito - della propria epoca. A questo punto anche un oggetto naturale (vedasi la roccia di Michael Heizer) può esserlo, perché la provocazione estetica, scegliendolo e ponendolo su un ideale piedistallo, lo culturalizza.
2) dev'esserci quindi un provocatore. Questo nella stramaggior parte dei casi è un artista artefattore, o etimologicamente artefice, ovvero colui che produce da sé l'opera. Ma anche quello che la trova non è meno provocatore, anzi, si vedano gli objet trouvé di Duchamp. Così come l'archeologo o il critico d'arte che decretano l'artisticità di un affresco o di un manufatto antico compiono un'operazione simile, dal momento che non sono mancati casi in cui tali opere fossero create con intenzioni ritualistiche o anche meramente decorative.
3) l'opera deve conoscere un successo non effimero, cioè deve entrare in risonanza con l'inconscio collettivo, ovvero essere riconosciuta e piacere oltre al pubblico per cui è stata pensata (se no si tratta del solito artigianato piacione, "commerciale", ovvero osnoblotico). Più a lungo questo consenso si verifica, maggiormente l'opera sarà considerata arte da un crescente numero di generazioni, perché ricordiamolo: l'arte non è per sempre e ciò che è capolavoro per un'epoca viene distrutto o occultato da un'altra.
Quest'ultimo punto è fondamentale ed alcuni estetologi l'hanno chiamato "polisemia dell'opera d'arte", ovvero capacità di esprimere significati molteplici, quindi adatti a più culture e diverse epoche o aree geografiche. È importante anche per il Tg2 ;) che lo definisce "un senso di libertà, che pervadendo l'opera la trasforma in simbolo: la fa entrare nell'immaginario popolare", ma procediamo con ordine. 

Di certo c'è che la storia dell'arte, ovvero quella scienza umana che ci racconta cosa oggi è considerato arte e perché in chiave storica, è strutturata in svolte e picchi. Il buon Tg2 definisce arte quell'opera "che vada oltre le regole e le infranga, ma senza molto clamore", insomma descrive un picco. Ma un picco non può esistere senza una svolta, quindi senza qualcosa che le regole le abbia infrante in modo radicale e spesso con tutto il clamore (troppo spesso anche egotico) possibile. Insomma l'artisticità della svolta la si deduce proprio dal successo del picco. Una serie di esempi banali: senza il successo del secondo Raffaello non si sarebbe capita l'importanza degli studi di Sebastiano Serlio sulla prospettiva, senza il clamore di Guernica le Demoiselles d'Avignon avrebbero probabilmente avuto un'importanza più limitata. I Velvet Underground, gruppo rock oggi considerato fra i più importanti di sempre, di certo fra quelli classici il più influente sulla scena di oggi, ha passato 10 anni tutti (tempo che nel rock di allora equivaleva a due o tre ere musicali) ad essere quasi totalmente ignorato da pubblico e critica.

Insomma la svolta molto spesso non viene capita dal suo secolo, anzi dà fastidio, è scomoda, quindi non produce polisemia. Questo è il caso della Venere di Botticelli, ignorata per secoli in quanto opera scandalosa e quasi blasfema, perché per la prima volta dai tempi dell'arte classica, quindi da circa un millennio, rappresentava una bellezza femminile senza connotazioni sacre, diciamo senza raffigurare una delle tre Marie ;). Ma vi chiediamo: oggi quanti... ehm, nudi femminili presentano connotazioni sacre? O lo chiediamo al sig. Darghen D'Amico e compagnucci di cui sopra? L'apparentemente interminabile consenso che oggi la Venere conosce è una piacevole coincidenza o una forza intrinseca all'opera?

Un esempio più recente ma perfettamente allineato al discorso è la Ragazza con l'Orecchino di Perla (o, più esattamente, col Turbante) del Vermeer. Artista secentesco totalmente dimenticato per più di due secoli (i primi studi risalgono a fine '800), prima un libro poi un film hanno decretato all'opera un successo clamoroso che sta durando ben oltre il successo del film stesso. Questo perché in un certo qual modo l'opera d'arte si fa meme, ovvero sussume culturalmente una serie di significati simbolici che vengono trasmessi fra le persone secondo una modalità che oggi (ma non ieri) definiremmo "virale", e finché questa funziona l'opera prospera. Che meme è per noi, ad esempio, la citata dal Tg2 Marilyn Monroe di Warhol (che "nobilita a oggetto del desiderio")? Cosa poteva essere quattro secoli fa la Dama con l'Ermellino di Leonardo? Per tacere della sempiterna Gioconda o Monna Lisa, opera d'arte tanto riuscita da aver costituito un meme ad oggi eterno, di certo transepocale come quelli citati nel servizio: il Discobolo di Milone, il David di Michelangelo ecc ecc. Opere che sussumono così tanti significati, passando secoli e secoli con esigenze culturali diversissime, da arrivare a comportarsi come simboli. Quindi arte e simbolo sono in relazione?

Insomma cos'è l'opera d'arte? Un oggetto culturale, concepito con un preciso senso pratico e referenziale come il ritratto di una persona, una decorazione, un oggetto qualsiasi, oppure senza un senso preciso, come uno scarabocchio o un suono generico, ma reso potenzialmente polisemico dalla provocazione estetica. Saranno le generazioni a conferirle significati, pescati direttamente da quello che il servizio del Tg chiamava "immaginario popolare" e noi inconscio collettivo. Insomma l'opera d'arte è riuscita nella misura in cui è in grado di connettere, tramite cortocircuiti culturali o processi neuronali, la coscienza col mare immenso di simboli, valori, miti e immagini condivisi in parte da un'epoca - quindi, diciamo così, morituri - in parte dall'umanità intera, quindi eterni. L'arte è così l'unico oggetto culturale in grado di produrre perennemente senso, quindi polisemico come solo la natura sa essere, infatti ogni generazione dà alla natura i significati che può, cogliendo solo parte del suo segreto insondabile. Ma per l'opera d'arte alla fine questi tendono a chiudersi, bloccarsi, codificarsi in simboli: la Gioconda diventa così un simbolo dell'ambiguità e del mistero, l'Urlo di Munch uno dell'angoscia, il David di Michelangelo uno della bellezza maschile unita alla forza serena, ecc, almeno fino alla fine della capacità di comunicazione della civiltà che li ha codificati. 

Il simbolo invece non nasce come potenzialmente polisemico, au contraire, esso è eminentemente monosemico. Ma se si tratta di vero Simbolo, ovvero orientato al Sacro, esso porta un significato non facile da esprimere, certamente impenetrabile dalle menti ottenebrate. Al che cominciano a fiorire in seno all'umanità interpretazioni vieppiù lontane dal significato originale, se volessimo usare una parola brutta e impropria oseremmo dire eretiche. Ciò avviene per una ragione non dissimile: non cogliendo l'elevatezza del significato originale, l'uomo si connette tramite il simbolo alle regioni più "basse" e fantasiose dell'inconscio collettivo, traendone ogni suggestione e conseguenza. Nel percorso secolare memetico, il simbolo diventa così polisemico contro la sua stessa natura, virtualmente senza fermare mai tale corsa e comportandosi così come dovrebbe fare l'opera d'arte. In questo senso l'opera d'arte con gli anni si comporta come un simbolo e, viceversa, il simbolo si comporta come un'opera d'arte, pur conservando entrambi, per chi è in grado di coglierli, il primo un significato preciso, la seconda un significato "aperto". Il primo viene forzato all'apertura, la seconda condotta alla chiusura. Quando l'opera d'arte finisce di produrre polisemia e i suoi sensi, i suoi significati, sono totalmente codificati (perché in numero determinato e gestibile), allora essa assurge a simbolo di quei significati. E così accadrà per tutte le opere alla fine della civiltà umana, ma forse sarà troppo tardi perché serva a chicchessia (o forse no? chissà...).

La nostra provocazione estetica, lo credereste mai? è la Sinestesi. Perché, fra le altre, sono due le cose che il Tg2 non dice:
1) è dagli anni 60, ovvero dall'epoca della Marylin di Warhol, che l'arte non è più in grado di produrre "icone", complici la caduta delle ideologie, la conseguente parcellizzazione (forse sarebbe più giusto dire la polverizzazione) dei miti e l'autoghettizzazione dell'arte nei territori dello stupore o del mero piacere. Fa forse eccezione qualche film, quindi arte almeno bisensoriale.
2) ma a parte questo, soprattutto le avanguardie - diciamolo - l'arte multimediale e quella (sedicente) sinestetica alla fine si sono rivelate le più sterili, le più incapaci a produrre qualcosa di duraturo e memorabile.

Secondo noi perché è mancata una provocazione estetica forte, veramente commisurata all'umanità odierna, che vive in modo nuovo problemi eterni. Detto questo, è poi così importante divenire un'icona? Se ci pensiamo, le opere presentate dal Tg sono icone nel senso proprio del termine: immagini, figure. Ma se icona significa mito allora anche un uso diverso di un'opera d'arte, una sua diversa fruizione, può assurgere a tale status, per quanto l'aspetto esterno dell'opera non sia particolarmente rilevante. L'icona grafica fa il suo mestiere, connette laddove deve connettere, quella musicale fa il suo e così quella esperienziale, apparentemente così importante per l'uomo di oggi. 

Certo, auspichiamo che alcune Sinestesopere verranno meglio ed assurgeranno a memi semi-eterni e immaginiamo che altre verranno peggio e saranno presto dimenticate, ma la provocazione della Sinestesi di certo rappresenta una svolta. Questo gruppo che si sta formando, e al quale invitiamo tutti a partecipare, spera di poter produrre un picco e sarà suo merito se ci riuscirà. Altrimenti spera di aver teorizzato una buona svolta: profonda, interessante e meritevole di essere messa alla prova. 

Chi viene con noi?

7 commenti:

  1. Ooooh bel post! complimenti! Finalmente avete ripreso a trattare di estetica da un punto di vista importante!
    Nn mi è chiaro tuttavia cosa intendete per svolta e picco. I Velvet sono stati soltanto svolta? Non hanno fatto capolavori interpretabili come picco?
    E in quegli anni chi è stato più svolta o più picco, Bob Dylan o Leonard Cohen?
    Per favore chiarite sulla musica che poi parleremo di pittura.... >:)

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  2. Abbiamo ripreso cosa? Senti chi parla, il cieco di Sorrento o peggio, il desaparecido della val Padana! ;)
    Ciao Esthetron, come va? Che fine hai fatto? È da maggio che non abbiamo tue notizie, cioè dal febbrile periodo del gioco sincrestesico, al quale ti abbiamo aspettato invano! Da allora di scritti estetici ne sono stati postati tanti, ma di tuo commento nemmeno l'ombra....
    In ogni caso per risponderti specifichiamo che i concetti di svolta e picco sono, appunto, due concetti, non due categorie vicendevolmente escludentesi. La svolta è un rinnovamento più o meno radicale di poetica, cioè di gusto estetico, diciamo una provocazione fortemente innovativa, il picco invece è un capolavoro universalmente riconosciuto, normalmente (ma non necessariamente) fatto con metodologie preesistenti.
    Di certo i Velvet Underground hanno rappresentato entrambi: pezzi come Sister Ray più il lato svolta, capolavori come All Tomorrow's Parties o Venus in Furs più il lato picco, per quanto fosse sempre il loro aspetto di svolta radicale ed estrema ad averli resi shoccanti (allora... oggi, giustamente, suonano molto più "normali").
    Grazie per avere nominato Cohen, uno dei nostri artisti preferiti. Per quanto possa sembrare incredibile (in fondo cantava un sommesso folk accompagnato da chitarra), la sua è stata una svolta radicale e allora incompresa, almeno negli USA (per anni la sua sopravvivenza artistica è stata legata al modesto ma consistente successo che stava conoscendo in Europa). Questo perché con le sue nenie tristi e toccanti negava tutte le tradizioni di melodia allora in vigore, elaborando successioni di accordi assolutamente inedite e spiazzanti per i miopi critici americani (in Europa, figli di tradizioni celtiche o abituati agli chansonniers francesi, eravamo stranamente più aperti).
    Dylan, anch'egli ebreo (cosa c'entra? mah...), per quanto abbia composto tra i capolavori più alti di quell'epoca, di certo non ha negato le tradizioni melodico-armoniche del suo paese, anzi le ha reinterpretate con una sensibilità e una vis polemica di certo inedite. Mentre Cohen nei testi, tanto poetici da risultare "eterni" (non scordiamoci che era innanzitutto un poeta), usava una lingua pura, letteraria, quasi azzerando elementi gergali o di uso comune. Quindi:
    - Cohen ha rappresentato una svolta per la melodia e un picco per la poesia
    - Dylan, melodicamente opposto, ha rappresentato una svolta per i testi in musica
    Contento? Dicci pure la tua, non abbiamo paura! ;)

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  3. Bella risposta, sempre lucidi e puntuali vekkie canaglie! Non è più necessario lanciarsi in discettazioni pittoriche...
    Non sono sparito scusate se anch'io ho avuto il mio lavoro da fare, eeeh? Anch'io come voi faccio parte di un... (come lo chiamate?) gruppo di provocazione estetica, applicato soprattutto alla psicologia e al controllo sociale. L'intento è quello di smascherare una delle maggiori mistificazioni della cultura dominante e riparare ad un convincimento della sinistra che è stato suo errore storico: la presunta non declinabilità tra irrazionale e razionale, o meglio la presunta cesura tra la sfera individuale (psiche) e quella pubblica (polis).
    Vorremmo denotare come il concetto di sviluppo infinito del progresso e del mercato, classici della cultura scientista e capitalista, porti come conseguenza oltre al restringimento degli spazi democratici, dei diritti sociali e dell'ambiente, (cioè di attività politica, sindacale e civile) anche un disagio nell'attività psichica, estetica e sessuale.
    Cerchiamo insomma di indurre verso una congiunzione tra i temi della bellezza e quelli della politica, non solo considerandoli al pari strategici, ma soprattutto per evidenziare una volta per tutte la connessione che esiste tra disagio psicologico (che si riflette nell'ambito dei rapporti interpersonali) e il disagio politico/sociale (che si riflette - a sua volta - verso il sistema culturale delle idee).
    Per questo nn posso perdervi! ;)

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  4. Volevo venire con voi, come vi contatto?

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    1. Chiediamo scusa... pensavamo che dopo i febbrili giorni del gioco sincrestesico la nostra email fosse di dominio pubblico, in ogni caso c'è sempre il profilo Facebook x eventuali comunicazioni. sinesthesys@gmail.com

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  5. Bellissimo articolo! Nemmeno io avrei saputo fare meglio ;) complimenti!

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    1. Caro Esthetron... ehm, come dire? Grazie, ma abbiamo capito il concetto. Tu come stai? Tutto bene? :O

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